Colombia, la sfida di Francia Màrquez: «Le donne utilizzino il loro istinto per salvare il pianeta»

Colombia, la sfida di Francia Màrquez: «Le donne utilizzino il loro istinto per salvare il pianeta»
di Elena Marisol Brandolini
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Mercoledì 27 Aprile 2022, 14:43 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 23:14

«La vita nel pianeta si sta esaurendo per colpa dell’azione umana e la crisi ambientale invita le donne a muoversi. Devono utilizzare il loro istinto alla cura per accudire l’ambiente». Francia Márquez Mina, attivista afro-colombiana di 41 anni, ha guidato le lotte contro l’estrazione mineraria illegale, per la difesa del territorio e dei diritti.

È candidata alla vicepresidenza della Colombia nelle prossime presidenziali di maggio per la coalizione progressista Pacto Histórico guidata da Gustavo Petro, dopo essere arrivata seconda alle primarie con oltre 780.000 voti. Ha partecipato agli accordi di pace tra il governo Santos e le Farc e ha condotto una marcia di donne nere a Bogotá contro l’estrazione illegale. Nel 2018 ha vinto il Goldman Environmental Prize, considerato il Nobel per l’ambiente, ed è entrata nella lista delle 100 donne più influenti del mondo stilata dalla Bbc.

Marquez, cosa rappresenta la sua candidatura a vicepresidente?

«Le persone comuni di questo Paese hanno ora una rappresentante che ne contesta la politica razzista, classista ed escludente».

In Colombia non ha mai vinto la sinistra, perché dovrebbe vincere ora?

«Io non sono una donna di sinistra, sono una donna dei territori del popolo nero che non immaginava che una come me avrebbe potuto essere candidata alla vicepresidenza del Paese. C’è come un risveglio sociale dalle proteste del 2019. L’ex presidente Santos fece un accordo per la pace, ma il governo di Iván Duque ha distrutto la pace. Non si è fermato il conflitto armato, né il trasferimento forzato, non sono cessati gli assassinii di leader sociali e degli ex combattenti che firmarono gli accordi. C’è una grande stanchezza sociale. Abbiamo molte possibilità di vincere le presidenziali perché c’è un’aspirazione al cambiamento».

Con quale ruolo partecipò ai negoziati di pace?

«Come rappresentante delle vittime del conflitto armato, del trasferimento forzato, delle minacce. Io stessa fui vittima di un attentato. Ho combattuto l’attività mineraria su larga scala e quella illegale. Difendere l’ambiente in Colombia può costare la vita, l’anno scorso furono uccise 65 persone per questo motivo».

Nel 2014 guidò una marcia di donne verso Bogotá contro l’estrazione illegale.

«Nella zona del Cauca in cui vivo, teatro del conflitto armato e dell’attività estrattiva, c’è una storica attività mineraria e noi afrodiscendenti sappiamo che i nostri antenati furono portati qui in condizione di schiavitù per lavorare in miniera.

Tutto ciò ha generato in noi una coscienza della cura del territorio come di uno spazio di vita. Il governo riconobbe a imprese multinazionali i titoli per l’estrazione mineraria. Poi arrivò l’attività mineraria illegale con l’avallo dello Stato. Sversarono mercurio nel fiume, avvelenarono l’acqua. E allora le donne della mia comunità dissero: fermiamo tutto questo perché distrugge la vita. Decidemmo una mobilitazione delle donne nere per la cura della vita e dei territori ancestrali, degli indigeni. Camminammo per più di 300 chilometri dal Cauca fino alla capitale. Entrammo nel ministero degli Interni rimanendoci fino a che il governo fu costretto all’accordo per fermare l’attività estrattiva illegale, che però non fu rispettato. Così fu la mia comunità a dire che l’attività mineraria illegale andava fermata e riuscimmo a farla cessare».

Ha celebrato la depenalizzazione dell’aborto come un trionfo delle donne.

«In ogni famiglia di questo Paese c’è una donna madre non sposata, nelle fasce di popolazione più povere manca un’educazione sessuale e riproduttiva, perciò ragazzine giovanissime rimangono incinte. Molte donne morivano per aborti clandestini e mediamente 5.000 donne venivano processate. Allora un gruppo di donne fece domanda alla Corte Costituzionale per la depenalizzazione dell’aborto. E vinsero, ossia vinsero tutte le donne».

Lei è una donna afrodiscendente: quant’è difficile gestire questa identità plurima?

«Essere donna rappresenta una sfida ovunque, ma essere una donna nera proveniente da una regione povera è molto di più. È l’intersezionalità di etnia, classe e genere che ci attraversa e con cui facciamo i conti. Ho ricevuto molti attacchi fin dal principio della mia carriera politica: in una società classista come questa, non si permette che una donna nera che faceva le pulizie presso altre famiglie, come nel mio caso, possa diventare la vicepresidente del Paese».

C’è una generazione di donne in Sudamerica che guida il cambiamento.

«La vita nel pianeta si esaurisce perché il sistema economico si è fondato su oppressioni patriarcali e razziste, utilizzando le categorie di inferiorità e superiorità. Queste oppressioni sono parte di un modello che ha fatto degli uomini i padroni della politica, con le donne relegate in cucina. Ne ho viste molte in Sud America lottare contro progetti di estrazione mineraria, contro il razzismo strutturale, per proteggere le loro famiglie e ottenere condizioni di dignità. Oggi con le nostre lotte abbiamo conquistato altri spazi di confronto».

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