Giro Donna, Marta Cavalli: «Io, come Pantani, domino anche sulle salite»

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di Gianluca Cordella
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Mercoledì 22 Giugno 2022, 14:09 - Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 08:11

Quello che i tifosi chiedono a Marta Cavalli, in fin dei conti, è solo un cambio di colore: dalla maglia azzurra 2021 a quella rosa, quest’anno. «Sarebbe bello che un’italiana vincesse il Giro Donne 14 anni dopo Fabiana Luperini. Ma per ora mi concentro sulla preparazione. Voglio esaltare il pubblico, se poi arriva la vittoria...».

Il pubblico lo sta esaltando, da mesi. E se fosse stata quella maglia azzurra a darle la fiducia per esplodere?

«Di sicuro da lì in poi c’è stato un continuo miglioramento. I risultati danno fiducia e aiutano a conoscerti come ciclista».

E lei che ciclista è?

«Mi sono trasformata. Nasco in pista e questo forse mi ha dato l’attitudine alle gare secche. Ma la qualità che ho sempre avuto è la capacità di recupero, che mi rende più adatta alle corse a tappe. Alle Classiche non devi essere adatta. Hanno un fascino talmente eccezionale che ti portano ad adattarti anche contro la tua volontà».

La gara olimpica di Tokyo non era una Classica ma l’ha definita «un sogno che si avvera».

«E lo penso davvero. Poter affrontare i Giochi a 23 anni è stato incredibile. A livello di soddisfazione un’esperienza pari ai successi nelle Classiche di questa primavera»

E la medaglia? A Parigi?

«Mah. Il 2024 è ancora molto lontano, non si conosce ancora il percorso. Step by step».

Pensava “passo dopo passo” anche nei 10 giorni che hanno diviso i trionfi all’Amstel Gold Race e alla Freccia Vallone?

«Chi se lo aspettava di fare due successi così in pochi giorni? Anche se abbiamo lavorato per quello.

Lo scorso anno ho dimostrato di essere molto costante nei risultati, ottenendo parecchie top ten. Quest’anno abbiamo deciso di ridurre un po’ la continuità, aumentando i picchi. Quindi la preparazione è andata in questa direzione. E l’abbiamo azzeccata».

Se le dico Marco Pantani?

«Un’istituzione, un mito al quale non si può non ispirarsi». Ci si è ispirata talmente bene che lo ha eguagliato. Pochi giorni fa ha vinto sul Mont Ventoux, 22 anni dopo l’impresa del Pirata al Tour. «Un’esperienza unica, il Mont Ventoux non lo avevo scalato mai nemmeno in allenamento. La salita è durissima. Impegnativa, lunga e in questo periodo ventosa ed esposta al sole. Domarla è stata una bella botta di fiducia».

Nonno gestiva una squadra in paese, papà ciclista. La bici era un destino scritto?

«Ho vissuto con le biciclette dentro casa sin da piccola. Salirci in sella è stato un passaggio inevitabile».

La caduta al velodromo di Montichiari nel 2016, sei mesi di stop dopo aver rischiato di perdere un rene. Il ciclismo è stato inevitabile anche dopo quell’infortunio?

«Sì, ancora di più. Quando sono tornata in sella e mi è passata un po’ la paura ho capito che era la cosa che volevo fare per tutta la vita».

Il ciclismo femminile sta lottando per la parità di genere tra gli atleti.

«Una rivoluzione che sto vivendo in prima persona. Quando ho debuttato tra i pro, quattro anni fa, le gare delle donne sembravano meno importanti, le squadre erano meno organizzate. È incredibile quanto sia cambiato tutto in così poco tempo. Il montepremi quintuplicato del Giro è un bel segnale in questa direzione».

Quale altro messaggio sociale le piacerebbe lanciare?

«Vorrei che si facesse qualcosa per la sicurezza dei ciclisti sulle strade. Non solo durante gli allenamenti ma anche in gara. Ricorda la maxicaduta al Tour del 2021 per colpa della tifosa?». 

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