Calendario Pirelli, la fotografa Emma Summerton: «Vi svelo The Cal 2023. I miei scatti d'amore per ritratti di Muse»

Emma Summerton con la modella Adwa Aboh
di Valentina Venturi
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Mercoledì 28 Settembre 2022, 15:09 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 13:04

La sublimazione della bellezza femminile.

Come solo la fotografia può fare. Tecnica più ingegno, e l’istante dello scatto diventa un’opera. È il caso di Emma Summerton e del Calendario Pirelli 2023. Nel nuovo The Cal (la presentazione ufficiale sarà a novembre) la fotografa di origini australiane ma di fama internazionale ha unito il bello al contemporaneo, senza trascurare l’inclusività. Donne filtrate dallo sguardo di una donna, quinta fotografa a firmare le immagini Pirelli: prima di lei si sono alternate dietro l’obiettivo Sarah Moon nel 1972, Joyce Tenenson nel 1989, Inez Van Lamsweerde del Calendario 2007 del duo Inez and Vinoodh e Annie Lebovitz nel 2000 e nel 2016. La carriera di Summerton inizia nel 1988 quando da Sydney si trasferisce nel Regno Unito e collabora con l’artista Fiona Banner, nominata per il Fiona Banner,. Entra in contatto con Vogue Italia diretto da Franca Sozzani e si immerge nella fotografia di moda, creativa e autorevole. Per The Cal 2023 ha scelto di dedicare delle “Love Letters to the Muse” (tre giorni di set a giugno New York e una giornata a Londra a luglio), immortalando modelle in un costante dialogo tra sogno e realtà. Ogni musa designata ha quindi una sua specifica ragion d’essere: Lauren Wasser la ragazza dalle gambe d’oro simboleggia l’atleta, Cara Delevingne rivela la performer e Adut Akech l’acchiappasogni; He Cong dà vita alla saggia e Precious Lee è narratrice, Adwoa Aboah è la regina e Ashley Graham è l’attivista, Bella Hadid interpreta lo spiritello delle fiabe e Karlie Kloss è l’esperta di nuove tecnologie, Lila Moss simboleggia la veggente, Sasha Pivovarova identifica la pittrice, Emily Ratajkowski la scrittrice, Guinevere van Seenus l’alter ego fotografa e Kaya Wilkins è la musicista.

La 49esima edizione di The Cal è una “Lettera d’amore alla Musa”: cosa significa?

«Ho voluto descrivere le donne che mi hanno ispirata nel mio lavoro, risalendo all’etimo dell’antica Grecia della parola Musa che non è colei che ispira l’artista ma è l’artista stesso; ho riportato il significato di questa parola alle origini, al senso primigenio, primordiale.

Volevo che il Calendario Pirelli permettesse a queste splendide donne di diventare fonte di ispirazione per le altre».

Da oggi è nella storia della fotografia: si è candidata o è stato un incontro fortunato?

«Presumo che il mio lavoro sia stato esaminato insieme a quello di molti altri colleghi. Un bel giorno ho ricevuto un sms: non riuscivo a credere ai miei occhi. Ammettiamolo: il Calendario Pirelli è sempre stata un’esperienza che avrei voluto fare da quando ho iniziato questo lavoro».

Un’occasione attesa a lungo?

«Negli anni ho spesso chiesto al mio agente: ma come si può far accadere questa cosa? È Pirelli che ti chiama o siamo noi che dobbiamo andare da loro?. In effetti non ho mai ricevuto una risposta precisa. Mi sono confrontata anche con dei colleghi che avevano fatto il calendario: nemmeno loro sembravano avere le idee chiare a questo proposito. È rimasto un mistero irrisolto fino all’sms».

Quando ha iniziato a collaborare con “Vogue Italia”?

«Ero giovane quando mi sono trasferita a Londra. La fotografia di moda che veniva pubblicata su Vogue Italia era una forma d’arte: la direttrice Sozzani l’ha rivoluzionata, trasformandola in un mondo mai visto prima. Le foto di Paolo Roversi, di Sarah Moon, Steven Meisel e Peter Lindbergh erano arte. Cominciare a fare l’assistente per Edward (Enninful, direttore di British Vogue ed European Editorial Director di Vogue Europe, ndr) è stato interessante e bellissimo. E finalmente arriva Franca Sozzani».

L’ha conosciuta subito?

«C’erano dei passaggi prestabiliti. Prima venivi presentata ad Ariela Goggi e se le cose andavano bene Ariela ti permetteva di avere accesso a Franca. Incontrare Franca era come incontrare una figura mitologica, un essere umano extra umano. Stare con lei, lavorarci insieme e collaborare era come essere utili a una divinità, come venire incoronata regina. Franca era la dea della moda e lavorare per lei e il suo giornale è stato l’avverarsi di un sogno. Franca era più avanti persino rispetto al concetto di essere una visionaria».

Di norma lavora da sola o ha un’equipe consolidata?

«Per un progetto creativo come The Cal è fondamentale una squadra affiatata: è imperativo che tutti lavorino bene e in sintonia. Si parla molto, si scambiano idee e impressioni, ci si aiuta. È una collaborazione reciproca che ci doniamo ed è una cosa pregevole del mio lavoro poter intessere rapporti professionali che sfociano nell’amicizia vera. Quando ho conosciuto Amanda (la costumista Harlech, ndr) ci siamo dette un sacco di cose e abbiamo parlato a lungo, con Viki (la set designer Rutsch, ndr) lavoro da 12 anni e ci siamo capite da subito. Quello della fotografia è un lavoro che riguarda moltissimo l’emotività. Lo considero un grande regalo e anche un privilegio del mio lavoro».

Come definirebbe il suo stile?

«È una delle cose a cui mi sono dedicata anima e corpo dopo aver terminato il mio apprendistato come assistente: far sparire la mia immagine di fotografa, facendomi riconoscere solo attraverso il mio lavoro».

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