L'ambasciatrice D'Alessandro: «Ascolto e mediazione: i talenti delle donne nella diplomazia»

L'ambasciatrice D'Alessandro: «Ascolto e mediazione: i talenti delle donne nella diplomazia»
di Cristiana Mangani
6 Minuti di Lettura
Mercoledì 23 Febbraio 2022, 14:46 - Ultimo aggiornamento: 24 Febbraio, 09:03

Segni particolari: solare, energica, attiva; elegante e fiera dei suoi lunghi capelli rossi.

Romana doc, con un forte senso delle istituzioni, da sette anni riveste un ruolo esclusivo, quello di consigliere diplomatico del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. È l’ambasciatrice Emanuela D’Alessandro, prima donna a entrare al Colle con questa nomina, e prossima responsabile della sede diplomatica a Parigi. Dall’ufficio che dà sulla Manica lunga, il magnifico corridoio dell’ala sud del Quirinale, parla della sua carriera, della famiglia, della passione per il lavoro e anche di quegli hobbies che le consentono - «solo per qualche ora» - di allontanarsi dalla vera passione della sua vita: la diplomazia.

Ambasciatrice, che sacrifici deve fare una donna per poter seguire la carriera diplomatica?

«Innanzitutto, bisogna dire che ogni donna che fa un lavoro impegnativo deve superare ostacoli. Ci si deve barcamenare tra vita privata e lavoro, e la cosa naturalmente si complica quando si svolge un’attività come la mia, perché devi, prima di tutto, cercare di rendere compatibile la tua occupazione con quella di un marito, di un compagno. Poi, c’è la gestione dei figli piccoli. E con il passare degli anni si pone il problema dei genitori anziani, della distanza che rende difficile intervenire in caso di emergenza».

Verrebbe quasi voglia di lasciare perdere.

«No, assolutamente. Le difficoltà non sono poche, ma non sono insormontabili e lo dimostra la vita di ognuno di noi. E poi questo lavoro si fa per passione. È giusto anche che i giovani sappiano una cosa della quale non sono, probabilmente, a conoscenza e che potrebbe sembrargli inconcepibile, ed è che la carriera diplomatica per le donne è un fatto abbastanza recente. Per anni è stato appannaggio esclusivo degli uomini. C’è un passaggio nel discorso che il presidente della Repubblica ha fatto per il 2 giugno dell’anno scorso nel quale viene ricordata l’esistenza di una norma che precludeva alle donne l’accesso a molti importanti uffici pubblici e che è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale nel 1960. La Farnesina ha aperto le sue porte alle signore nel 1964».

Questo può spiegare perché non ci sia ancora un alto numero di donne nella diplomazia?

«Io sono entrata al ministero degli Esteri nel 1987, negli ultimi anni abbiamo fatto passi da gigante. Certo la situazione rimane ancora da sviluppare. Oggi le donne sono un quarto del corpo diplomatico, sono 243 su 1015, con grandi differenze tra le presenze nei gradi. Nel grado iniziale sono oltre il 31%, ma quando cominci a salire verso il grado apicale il dato scende molto, al 15%. Attualmente siamo sei le ambasciatrici di grado. La mia nomina, ormai sette anni fa a consigliere diplomatico del presidente della Repubblica, è stata un gesto lungimirante. Per la prima volta Mattarella ha scelto una donna. Però il fatto che si continui a parlare di questo, fa capire che c’è ancora da fare».

A ottobre scorso il segretario generale Ettore Sequi ha firmato una circolare sulla parità di genere, quali interventi sarebbero necessari per incentivare alla professione?

«Il ministro Di Maio e il segretario generale Sequi hanno mostrato grandissima attenzione al tema e la circolare dà, per la prima volta, delle indicazioni operative concrete: salvaguarda aspetti legati alla tutela dell’assistenza familiare, con figli minori che spesso incidono sulla vita delle madri.

La Farnesina, poi, già da un po’ sta cercando di agevolare il percorso per chi deve andare in una sede estera, facilitando i trasferimenti di coppie nello stesso Paese o in Paesi vicini».

Come è nata la sua passione per questo lavoro?

«È una decisione che ho maturato da piccolissima. Quasi certamente ha influito il fatto di avere un nonno diplomatico, ma lui non c’era più da tempo quando ho intrapreso la carriera. Le ragioni sono le più varie: curiosità, passione. Sono in diplomazia da 35 anni, e mi sento di consigliare questo lavoro ai ragazzi, soprattutto alle ragazze, perché ti dà l’opportunità di fare esperienze molto formative. Per me è stato un sogno che si è coronato, ancora di più con la chiamata del presidente a consigliere diplomatico».

Che impegno richiede stare al fianco della prima carica dello Stato?

«Il presidente Mattarella ha svolto un’attività di politica internazionale molto intensa. Solo per dare una cifra di questo settennato: ha visitato 49 Paesi e ha incontrato in Italia e all’estero 221 capi di Stato stranieri». Lei però non si ferma qui. «Tra qualche mese andrò come ambasciatrice a Parigi».

Si ricomincia a viaggiare?

«Si, ma in una condizione diversa perché ora il marito è in pensione e quindi mi può seguire tranquillamente. Spostarsi insieme è più semplice».

Nel libro “Diplomaties européennes” la professoressa Laurence Badel parla de “La barrière du mariage” e di una barriera naturale, una fragilità fisica, che renderebbero difficile la partecipazione femminile alla missione diplomatica.

«Parlare di fragilità fisica femminile mi sembra fuori dal mondo. La fragilità fisica può riguardare uomini e donne. È certamente un lavoro che richiede resistenza fisica, magari per sopportare determinati climi, condizioni diverse da quelle a cui sei abituata. Ma questo a prescindere dal fatto che si sia uomo o donna. Riguardo al matrimonio, poi, non mi sono posta il problema. Mio marito non fa il mio stesso lavoro, lavorava per una banca, è stato impegnativo far conciliare le nostre vite, ma ho avuto la fortuna di incontrare un uomo con il quale abbiamo condiviso la gestione della figlia e quella della casa».

Una donna è più adatta di un uomo a rivestire ruoli apicali nella diplomazia? E perché? 

«Le ragioni sono diverse. Ne cito solo alcune: capacità di ascolto, capacità di mediazione, capacità di gestire in contemporanea più fronti, e tanta determinazione».

Del primo incarico da ambasciatrice che ricordi ha?

«La mia prima volta da ambasciatrice all’estero è stata a Zagabria, dal 2011 al 2015. Ho vissuto l’entrata della Croazia in Europa, e compreso appieno i Balcani, un’area caratterizzata da dinamiche complesse e rilevanti per l’Italia».

Con una vita tanto piena, riesce a trovare un po’ di spazio per sé?

«Accade la sera o nel weekend. C’è la palestra che ti salva con lo spinning, mentre nel fine settimana c’è il canottaggio. Sono due sport che ti coinvolgono totalmente, sia fisicamente che mentalmente e non hanno alcuna attinenza con ciò che faccio abitualmente. Ti estranei e ti rilassi».

Ambasciatrice, sua figlia la sta seguendo nella carriera?

«Per carità, ovviamente ha scelto di fare il contrario. Ha un lavoro stanziale a Roma e non ha alcuna intenzione di muoversi».

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