Yvette Agostini: «Io, ingegnera, combatto i pirati informatici e i pregiudizi»

Yvette Agostini: «Io, ingegnera, combatto i pirati informatici e i pregiudizi»
di Sonia Montegiove
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Sabato 22 Maggio 2021, 08:30

“Per la mia esperienza lavorativa, posso confermare quanto statisticamente rilevato da molti: sono ancora molto poche le donne che lavorano nella cyber, forse perché parliamo di un ambito relativamente nuovo e particolarmente complesso”. Yvette Agostini, esperta senior cybersecurity, lavora nel settore da oltre venti anni ed è riconosciuta come una delle donne più note e competenti a livello italiano.

Laureata nel 1993 in ingegneria elettrotecnica, Yvette lavora prima nel settore delle rinnovabili con Enel, occupandosi di ricerca in ambito energia eolica, per poi decidere di seguire una passione antica, che coltiva da adolescente: quella per l’informatica. “L’informatica era un hobby, una passione che coltivavo nel tempo libero, imparando a programmare da autodidatta. E l’informatica è diventata il mio lavoro. Da ragazzina per me era un gioco risolvere equazioni, giocare a scacchi o con il piccolo chimico o il meccano. Smontare giocattoli e ricostruirli mi è sempre piaciuto. Non esistevano in casa mia giochi “da femmina”, con grande dispiacere di mia madre”.

Cosa pensi possa aver supportato questa tua passione e inclinazione per l’informatica?

"Mio padre era ingegnere civile, pertanto posso dire di essere stata sempre “esposta” alle materie scientifiche, che oggi chiameremmo STEM, ma non credo ci sia una correlazione così stretta tra ciò che si respira da piccoli in casa e le proprie inclinazioni. Mia figlia ne è la conferma, visto che nonostante il mio lavoro e la mia passione lei è lontana dall’essere interessata a questo settore. E se non si ha interesse e passione, credo sia impossibile scegliere di studiare informatica".

Cosa significa lavorare nella sicurezza informatica?

"Il mondo cyber è davvero molto complesso perché quasi mai si dispone di “soluzioni pronte” e non esistono ricette preconfezionate che possano funzionare in ogni contesto. Ogni volta occorre attingere alle proprie conoscenze e competenze e soprattutto all’esperienza per risolvere un problema. In più, il settore è molto dinamico: minacce e tecnologie cambiano continuamente e può essere faticoso tenere il passo e stare dietro a tutto. In compenso, questi due aspetti di complessità ed elevata dinamicità rendono il lavoro davvero interessante, bello, mai ripetitivo e quindi noioso".

Quali sono le competenze necessarie?

"Sicuramente servono solide basi, che per esempio una laurea in ingegneria può dare, e capacità di adattarsi all’ambiente. Da senior occorre avere una visione che si acquisisce solo con l’esperienza e che, per esempio, consente di raggiungere un giusto equilibrio tra obiettivi di business e sicurezza. Un equilibrio per niente scontato, visto che per rendere sicuro un sistema lo si può blindare, ma blindandolo si rischia di limitare il business delle organizzazioni. Io personalmente non ho seguito un percorso strutturato perché non esistevano fino a qualche tempo fa percorsi universitari o master specifici sulla sicurezza informatica. Oggi le ragazze e i ragazzi hanno a disposizione mille occasioni diverse e, anche nella formazione continua necessaria, si può ricorrere a una vastità di risorse tramite Internet che in passato non erano nemmeno immaginabili. In questo lavoro ci vuole preparazione, teoria e poi molta esperienza pratica, sul campo".

Come hai vissuto tu il lavoro in ambienti quasi esclusivamente maschili?

"Non ho mai vissuto male questa situazione. Anzi, devo dire di aver incontrato ottimi uomini mentor che non solo mi hanno trasmesso l’amore per questo lavoro, ma mi hanno anche supportata e hanno fatto in modo che potessi crescere professionalmente. Anche nella mia prima esperienza in una grande azienda italiana, ho trovato un ambiente di lavoro in cui si costruivano condizioni favorevoli per la parità di genere con tantissime occasioni di formazione. Rispetto ai pregiudizi che altri possono avere, devo dire di averli vissuti sempre con indifferenza fin da quando frequentavo ingegneria all’università, quando eravamo pochissime ragazze rispetto agli iscritti. Diciamo che l’interesse per queste materie e per il lavoro mi ha portata a non considerare battute e battutine costruite su stereotipi o pregiudizi sulle donne".

Cosa si potrebbe fare per avvicinare le donne alla cyber?

"Noto nelle ragazze poco interesse per attività tecniche. E non saprei come poterlo “innescare”. Volendo fare un paragone semplice, le bambine tendenzialmente scelgono di vestire le bambole e non di smontarle. Manca questa curiosità e, nei giochi “da femmina”, un invito a trasformarli per capire i meccanismi che nascondono. Quando e se c’è interesse nelle ragazze, però, si può fare molto. In particolare le attività di mentoring, quelle che per me sono di maggiore soddisfazione nel lavoro perché consentono di vedere il cambiamento di prospettiva delle ragazze prima e dopo un’attività di formazione e affiancamento. Ogni volta che mi è capitato di formare giovani ho messo tutto l’impegno possibile per farli entrare nell’ottica necessaria ad affrontare i problemi nel modo corretto".

Qual è l’insegnamento più importante che hai tratto da tanti anni di lavoro nella cybersecurity?

"La cosa più importante, che tengo a mente in ogni progetto, è che l’obiettivo è risolvere problemi e non cercare colpevoli. E soprattutto che dentro ogni insuccesso c’è la ricetta per un futuro successo".

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