Torino, «la vittima non ha urlato», istruttore del 118 assolto dallo stupro: bisogna rifare il processo

Torino, «la vittima non ha urlato», istruttore del 118 assolto dallo stupro: bisogna rifare il processo
di Giacomo Nicola
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Mercoledì 7 Aprile 2021, 06:38 - Ultimo aggiornamento: 8 Aprile, 11:06

Per i giudici non era stato stupro perché la vittima non aveva urlato. E nemmeno pianto. Era stata un'assoluzione clamorosa quella di Massimo Raccuia, soccorritore ed istruttore del 118 a Torino. L'accusa era appunto quella di aver violentato una collega, in una piccola stanza dell'ospedale Gradenigo di Torino utilizzata dai volontari nelle pause di riposo. Il pm al termine dell'istruttoria aveva chiesto una condanna a dieci anni. In primo grado la donna non era stata giudicata attendibile, perché secondo i giudici «aveva detto basta, ma non aveva urlato o pianto».

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LE MOTIVAZIONI
Nelle motivazioni, il giudice definiva «inverosimile» il racconto della vittima: la crocerossina, infatti, non aveva «tradito quella emotività che pur avrebbe dovuto suscitare in lei la violazione della sua persona».

Inoltre, la donna scriveva ancora il giudice non «riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo». In sostanza, si era limitata a dire «basta». E prima non avrebbe «adottato alcuna precauzione per evitare di rimanere sola con lui, né per ostacolarne la violenza quando se ne fosse ripresentata l'occasione». Una sentenza che aveva fatto discutere. Il giudice aveva addirittura deciso di trasmettere gli atti in procura per procedere contro la vittima per calunnia.


«La seconda volta in ospedale - aveva raccontato in aula - è accaduto dentro a una stanzetta vicina al nuovo pronto soccorso. Su un tavolo, io dicevo basta. Ma lui continuava. Quando uscii vidi la sua compagna, e ricordo che lei chiese a lui come mai aveva il mio profumo addosso». Niente. In appello però il processo aveva preso una piega completamente diversa. La donna, assistita dall'avvocato Virginia Iorio, era stata riascoltata, aveva confermato tutto e questa volta era stata ritenuta pienamente credibile.


GLI AVVOCATI
Per i giudici non c'erano dubbi che la violenza sessuale fosse stata commessa e da lei subita. Tuttavia Raccuia, difeso dagli avvocati Vittorio Rossini e Cosimo Maggiore, era stato di nuovo assolto. Questa volta a salvarlo era stata la tesi della corte sulla non procedibilità del reato. Mancava cioè la querela, la volontaria non aveva sporto subito denuncia, quindi lui non era di nuovo condannabile, seppur per un motivo diverso. Il sostituto procuratore generale Elena Daloiso, che aveva sostenuto in aula l'accusa contro Raccuia, non si era però arresa e aveva fatto ricorso per Cassazione. Per farlo aveva puntato sul ruolo di superiore che Raccuia ricopriva all'interno della Croce Rossa. Nonostante si trattasse di un volontario, un ordine di servizio infatti gli affidava un incarico di organizzazione del lavoro degli altri colleghi: era una sorta di coordinatore regionale. Durante il dibattimento di primo grado la donna aveva infatti sostenuto che lui l'aveva obbligata «come pegno per poter continuare a lavorare». Quindi la vittima era, di fatto, una sua sottoposta. E non aveva fatto subito denuncia anche perché timorosa di questa sua situazione, scegliendo poi di sporgerla successivamente: una querela però tardiva secondo i giudici del secondo grado. Gli Ermellini hanno invece dato ragione alla procura generale. Il processo d'appello è ora da rifare, la querela non è stata ritenuta necessaria e quindi il reato è stato giudicato, in questo caso, procedibile d'ufficio.


IL FASCICOLO
Il fascicolo è tornato a Torino dove sarà assegnato ai giudici di secondo grado di un'altra sezione rispetto a quelli che si erano già espressi. La violenza sessuale sarebbe avvenuta nel 2011.

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