Coding, un gioco da ragazze. Ma gli uomini non ci credono: per il 38% le donne non portate per la tecnologia

Coding, un gioco da ragazze. Ma gli uomini non ci credono: per il 38% le donne non portate per la tecnologia
di Valeria Arnaldi
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Sabato 11 Dicembre 2021, 16:42

«Il test per sapere se sei idonea o meno per svolgere un lavoro non dovrebbe essere la disposizione dei tuoi cromosomi», diceva l'attivista statunitense Bella Abzug, nata nel 1920. Il condizionale era - ed è ancora - d'obbligo. Specie in taluni ambiti. Studiose, preparate, talentuose nel coding e, in generale, nelle discipline informatiche, le donne sono ancora imprigionate nello stereotipo secondo cui sarebbero meno portate per le materie scientifiche, nelle quali invece eccellerebbero gli uomini. Un luogo comune, tanto diffuso però da farsi criterio selettivo nel mercato del lavoro. Stando ai dati dell'European Institute for Gender equality, in Ue, solo due impieghi su dieci nel settore ICT vedono protagoniste le donne. E in Italia, le giovani che scelgono tale settore - il 18,9% delle laureate è in discipline Stem - pur più brave dei colleghi, hanno meno opportunità lavorative degli uomini e retribuzioni più basse. Una ricerca condotta da SWG con Epicode, una delle principali coding school d'Italia che forma gli sviluppatori del web, su trecento aziende italiane, ha rivelato che è ben il 44% a ritenere che gli uomini siano più idonei per materie tecnico-scientifiche e le donne per quelle umanistiche. In questa percentuale, anche le Corporate, dove il pregiudizio è condiviso dal 60% delle realtà.


LA SCUOLA
Nella fascia 18-30 anni, è il 38% di soggetti a credere nello stereotipo. L'interesse femminile per il coding aumenta - negli ultimi dieci mesi, da Epicode, sono state formate centoventi web developer - ma l'immagine della professione pare rimanere maschile. «La questione è culturale. Anche per le aziende. D'altronde, a fare la selezione del personale sono le persone, forti del loro patrimonio culturale di riferimento - dice la psicologa Paola Biondi, esperta dell'Ordine Psicologi del Lazio in materia di discriminazione e in tecnologia - Per questo, il sessismo è diffuso anche tra i giovani: dipende dalle famiglie di provenienza e dall'educazione». La via più veloce per tentare di scardinare lo stereotipo passa dai banchi. «La scuola è un problema serio. Se si va in una classe mista e si annuncia una prova di matematica, dicendo che tendenzialmente le ragazze sono più brave, i risultati confermeranno questa affermazione. Se però in un'altra classe si dice il contrario, puntualmente questo si verificherà. Ciò significa che molto è determinato dall'atteggiamento di chi affronta la questione. Dunque, se sono un uomo e ho una visione del mondo da uomo, la porterò in ciò che andrò a fare, così pure nella selezione professionale, e le donne faranno inevitabilmente fatica. E sì che se in una classe si dice che la prova di matematica, di solito vede alla pari bimbi e bimbe, sarà di fatto così».
Pesano l'atteggiamento di chi insegna, il linguaggio, i libri di testo e le immagini proposte. «Portiamo nelle scuole gli esempi di Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Samantha Cristoforetti. Diamo alle bambine la possibilità di immaginarsi così. Dobbiamo offrire un'educazione paritaria, che preveda la possibilità per tutti i generi di costruire un'immagine di sé in cui possono fare ogni tipo di carriera. Educhiamo gli insegnanti a non diffondere pregiudizi inconsapevoli. Valutiamo le persone in maniera neutra». La strada è lunga. «Studi sostengono che in Italia la parità di genere sarà raggiunta tra 125 anni - sottolinea Biondi - il problema si supererà quando si deciderà realmente di farlo».
Quando il sistema culturale e il mondo professionale sono privi di pregiudizi, però, i risultati si vedono. «Ho studiato giurisprudenza e lavorato come avvocato per dieci anni - racconta Barbara Giuliani, 34 anni, bolognese - nel corso del lockdown mi sono scontrata con le difficoltà derivanti da una scarsa informatizzazione, così mi sono messa a studiare. Ho fatto un corso di informatica con aspetti legati al diritto, pensando mi sarebbe stato utile per la carriera legale. Poi, la passione per la programmazione ha preso il sopravvento, ho fatto un corso intensivo e oggi, per un'azienda, mi occupo della parte visuale di siti web». Le opportunità sono arrivate subito. «Ho terminato il corso a giugno. Dopo una settimana, ho iniziato a ricevere offerte e fare colloqui tutti i giorni. Da avvocato, sarebbe stato impensabile. Ora vedo il mio futuro più solido».
 

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