Simona Sala, direttrice del Tg3: «La nostra campagna per dare voce alle donne. Nei dibattiti tv ora c'è più parità»

Simona Sala, direttrice del Tg3: «La nostra campagna per dare voce alle donne. Nei dibattiti tv ora c'è più parità»
di Maria Lombardi
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Sabato 5 Febbraio 2022, 17:16

Novembre 2019, ad un convegno presso la Corte di Appello di Roma si parla di violenza sulle donne e lo fanno solo gli uomini. Al festival della bellezza di Verona, settembre 2020, tutti relatori, tranne una. Un mese dopo, l'allora ministro del Sud Giuseppe Provenzano rifiuta di partecipare a un webinar sulla ripartenza perché non c'è nemmeno un'invitata. E tanti tanti altri casi: talk show, dibattiti, trasmissioni radio e tv con gli uomini che si danno la parola e se la riprendono, tra di loro. Non dovrebbe accadere più. Se non c'è anche lei non se ne parla. «No Women No Panel», il protocollo firmato lo scorso 18 gennaio nella sede di viale Mazzini dalla ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti, la presidente della Rai Marinella Soldi e altri rappresentanti delle istituzioni. Simona Sala, prima donna alla direzione di Radio Rai 1 e dallo scorso novembre alla guida del Tg3, è stata una delle principali sostenitrici della campagna.


Come è nata l'idea di sostenere il progetto della Commissione europea per garantire la parità nei dibattiti, nei talk-show e nelle trasmissioni tv e radio?
«Era un tema che avevo respirato negli anni di lavoro come giornalista nelle Istituzioni Europee. L'Europa è sempre stata avanti su questi argomenti rispetto al nostro paese e mi faceva rabbia constatare il ritardo. Così appena ne ho avuto l'occasione, appena diventata direttrice, ho provato a mettere in pratica la teoria. E a Radio 1 ho trovato un gruppo di colleghe e colleghi che hanno detto sì, ci stiamo. E ci hanno lavorato con determinazione. La Rappresentanza italiana della Commissione europea ci ha supportato subito. E quando è arrivato il riscontro e l'apprezzamento del Presidente della Repubblica Mattarella abbiamo capito che la proposta poteva fare strada, anche se non immaginavamo così tanta».


Come e in che tempi l'intesa inciderà sulla programmazione? Che cosa cambierà in pratica nelle trasmissioni tv?
«Posso dire che già sta incidendo. La decisione dei vertici Rai, dell'amministratore delegato Carlo Fuortes e in particolare dalla presidente Marinella Soldi, di firmare il protocollo con la ministra Bonetti e le altre istituzioni ha fatto effetto. C'è una sensibilità nuova. E già si è visto nelle tante trasmissioni dedicate all'approfondimento delle elezioni del Capo dello Stato. Molti dibattiti politici che troppe volte nel passato sono stati monopolizzati da colleghi ed esperti uomini hanno presentato una pluralità di voci che ha arricchito il confronto».


Chi vigila sulla realizzazione di questo impegno? Ci sarà un monitoraggio a distanza di tempo?
«Sì, il prossimo step è l'adozione di strumenti di monitoraggio come prevede il protocollo e come già avviene nelle principali realtà editoriali europee. Ci stiamo ispirando ad un modello anglosassone che consente la valutazione quantitativa e qualitativa. Però vorrei anche sottolineare che al protocollo hanno aderito importanti istituzionali come la conferenza delle Regioni, le Province, i Comuni, la Conferenza dei rettori, come il Cnr che si impegnano nei loro congressi, nelle conferenze, nei confronti a rispettare il principio dell'equità di genere. Insomma, evitare i Manel, i panel tutti al maschile. E ce ne sono ancora moltissimi».


La presenza femminile nella programmazione Rai è al 37% e le donne vengono chiamate per lo più a parlare di storie personali, meno delle loro competenze. Eppure le esperte ci sono, perché finora solo una minoranza le ha cercate?
«Una certa inerzia in generale. Non solo in Rai. Durante questo terribile periodo di pandemia la situazione è anche peggiorata nella società, dove le donne hanno perso il lavoro molto più dei colleghi uomini. E nella presenza nel talk e nei dibattiti monopolizzati da esperti uomini. E non solo in Italia come mostrano le ricerche europee. Ribadisco, serve uno scatto di consapevolezza. E anche un po' di monitoraggio!».


Lei è stata la prima donna a dirigere Radio Rai Uno dopo oltre 90 anni di storia e ora guida il Tg3. Come è stato il suo percorso?
«Molto graduale, lento, passetto su passetto. Ho cominciato mentre ero all'università come impiegata, regista, pubblicista, montatrice. Sono entrata in Rai dopo 13 anni di contratti con una causa. Ma devo molto a questa Azienda che poi ha creduto in me. Ho lavorato in tanti settori diversi, Tg1, Tg2, la rete, i servizi parlamentari, cronista inviata, quirinalista, sempre con passione in ogni ruolo. Diventare direttrice è un passo diverso, sei responsabile del lavoro di tanti altri, è bello mettere a frutto tanta esperienza»


Guardando ai programmi tv, dall'informazione alla fiction, della Rai ma non solo, ci sono ancora situazioni in cui, secondo lei, si ripropongono stereotipi di genere? E quali?
«Si ce ne sono ancora molti, anche per il semplice fatto che spesso ne siamo vittime inconsapevoli. L'ho potuto sperimentare mettendo in pratica proprio No women No panel. Molti colleghi non si rendevano conto di aver invitato a parlare dieci esperti tutti uomini e quando lo facevi notare erano meravigliati, dispiaciuti. E poi ancora: l'importanza del linguaggio, della scelta delle parole, nel raccontare le violenze alle donne, i femminicidi. Ancora troppo spesso narrate dalla parte dell'uomo che uccide e commette violenza. Abbiamo ribaltato questa visuale. La conquista della consapevolezza è un passo decisivo e questa campagna punta a questo obiettivo».
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