«Rieducare stalker e violenti così si proteggono le vittime»

«Rieducare stalker e violenti così si proteggono le vittime»
di Maria Lombardi
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Sabato 30 Ottobre 2021, 10:10 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 16:12

Uomini che fanno del male alle donne. Una, due, tre, quattro volte e chissà quante ancora. Fermarli prima che sia troppo tardi, impedire che ci sia un'altra volta. La rieducazione è una delle strategie nella guerra contro la violenza. Può aiutare aggressori e stalker a contenere la rabbia e ad essere consapevoli di quello che hanno fatto e non farlo più. Altrove funziona, come evidenzia la relazione sugli uomini maltrattanti presentata nei giorni scorsi alla commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio.
L'ANALISI
«Abbiamo svolto un'analisi comparata delle esperienze fatte in altri Stati. Si è visto che i percorsi di rieducazione, secondo studi a livello internazionale, portano a una riduzione delle recidive del 30, 35 per cento». La senatrice Donatella Conzatti (Iv) ha presentato un disegno di legge, ora in Commissione Giustizia al Senato, per introdurre l'obbligo dei programmi di rieducazione prima della condanna, già per chi ha avuto un ammonimento del questore o una misura cautelare (allontanamento, obbligo di dimora eccetera). Un altro disegno di legge sull'istituzione dei centri di ascolto porta la firma della senatrice M5S Alessandra Maiorino.
«Il lavoro sugli uomini è una delle tante strategie per difendere le donne, uno strumento di protezione che si aggiunge agli altri e val la pena mettere in campo. Se gli strumenti che abbiamo non bastano a fermare i femminicidi, dobbiamo integrarli per liberare il Paese da questa violenza integrata e diffusa. Non si tratta di fare meno per le donne e di sottrarre risorse ai centri antiviolenza che comunque, come prevede questa legge di bilancio, potranno contare su fondi strutturali. Ma di aggiungere centri e risorse».
LA CONVENZIONE
Negli Stati Uniti e in Canada - dove il modello è nato - i condannati sono costretti a seguire programmi di recupero. Spagna, Germania, Austria e Norvegia sono i Paese europei più avanti su questo fronte. È la stessa Convenzione di Istanbul, sulla lotta e prevenzione alla violenza, a raccomandare percorsi di rieducazione per gli uomini maltrattanti. Qui in Italia non c'è alcun obbligo, il Codice Rosso prevede che questi programmi possano essere alternativi alla pena, ma sempre se si vuole seguirli, nessuna costrizione.
In Italia 27 istituti penitenziari su 180 garantiscono i centri di ascolto. «Con il disegno di legge chiediamo che si intervenga anche nella fase precedente alla condanna, anche dopo un ammonimento da parte del questore», aggiunge la senatrice. «È quello un momento delicatissimo: l'uomo è ancora in casa e spesso si verifica una escalation di violenza. Chi riceve un ammonimento dovrebbe secondo noi essere obbligato alla rieducazione. La questura di Milano ha sperimentato il protocollo Zeus sul recupero dei maltrattanti: c'è stata un'adesione del 60 per cento e un abbattimento del rischio di recidiva del 50 per cento».
Ma chi dovrebbe occuparsi della rieducazione? I servizi in Italia sono pochi, tra la rete Cam (Centri ascolto maltrattanti) e Relive, una settantina, «isolati e trascurati», dicono gli addetti, quasi tutti al Centro Nord. Meno di un terzo dei centri-antiviolenza, oltre 250 (che dovrebbero essere ancora di più). «I servizi per gli uomini maltrattanti dovrebbero contare sul finanziamento di un fondo da un miliardo all'anno dal 2020. Ma bisogna stabilire degli standard per l'accreditamento, assicurarsi che siano gli stessi, e che gli operatori abbiano una adeguata specializzazione».

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