Fabrizia Pons, prima donna del rally e campionessa mondiale: «A 67 anni corro ancora e non ho intenzione di fermarmi»

Fabrizia Pons, prima donna del rally e campionessa mondiale: «A 67 anni corro ancora e non ho intenzione di fermarmi»
di Maria Lombardi
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Sabato 21 Gennaio 2023, 15:28

«Corro ancora, correrò sempre. Non ho alcuna intenzione di fermarmi. Magari a 93 anni ci penserò. Ma fino a quando mi cercano e il cellulare continua a squillare, io rispondo sì». Sì a un'altra gara di rally. Lei, Fabrizia Pons, una vita a tutta velocità, di gare ne ha disputate 224, di cui 88 mondiali, solo da navigatrice. Da sempre prima donna dei motori: prima a vincere un mondiale insieme a Michèle Mouton con un equipaggio tutto femminile, a conquistare quattro titoli italiani, a gareggiare nel motocross. Adesso, a 67 anni, la campionessa torinese ha ancora voglia di vincere. «Non parto per arrivare seconda, mai. Se poi arrivo seconda chiaramente l'accetto, ma io parto sempre per vincere. Da sempre e per sempre».
Che gare ha in programma?
«Dovrei fare il campionato italiano rally su terra storico con il mio pilota Lucky Battistolli, poi quello europeo, quattro gare in Africa e due mondiali, di cui uno in Sardegna e l'altro in Kenya».
Lei ha cominciato con le moto. Anche allora era l'unica ragazza in gara?
«Prima della moto ho fatto 10 anni di danza classica. Quasi quindicenne ho cominciano con le moto, c'ero io e basta, nessun'altra ragazza. Ero magrissima, le moto pesavano molto. Cadevo spesso e mi rompevo qualcosa, era un disastro, incidenti su incidenti. L'ultimo fu molto grave, ho rischiato l'amputazione. Non volevo rassegnarmi e dopo tanti giri ho trovato un sant'uomo che ha provato a riattaccarmi la caviglia al resto del corpo, un'operazione avveniristica per quei tempi. Comunque è andata bene, continuo ad avere due caviglie e a correre».
Fu però costretta a lasciare la moto.
«Avevo 19 anni, la Federazione motociclisti dopo l'incidente non mi tesserò più. Mi trovai orfana di motocross e dovetti cercare qualcosa che avesse un motore. La mia mamma mi regalò la prima macchina, una 112, che fu subito trasformata e feci il mio primo rally. Lei non lo sapeva o faceva finta di non sapere per lasciarmi la libertà di esprimermi. Era una donna straordinaria, sempre al mio fianco: ci siamo anche iscritte insieme alla facoltà di architettura, per lei è stata la terza laurea».
Prima pilota, poi navigatrice. Perché quel passaggio?
«Ho gareggiato tre anni da pilota, sono arrivata nona in assoluto al mondiale di Sanremo. Avevo ben chiaro nella mia testa il fatto di voler vincere e per il 1979 non trovai una macchina che mi permettesse di progredire. Fu il fato a indirizzarmi. Il navigatore di Lucky si ammalò poco prima della Targa Florio, lui mi chiese se volevo sostituirlo. Ho cominciato e non ho più smesso».
Come è andata con la Mouton?
«Alla fine del 1980 ricevetti la telefonata di Michèle Mouton che cambiò la mia vita. Mi chiese di farle da navigatore. È stata una vittoria moderna, la nostra a Sanremo, nel 1981: l'Audi entrava nel mondo dei rally con la prima 4 ruote motrici e un equipaggio femminile, siamo state le prime donne ad aggiudicarsi una tappa del Campionato Mondiale».
Altri successi che ama ricordare?
«Quello del 1997, correvo con Piero Liatti e vincemmo a Montecarlo, all'esordio delle WRC. Da allora nessun italiano ha vinto una gara di mondiale. Ma sono sempre proiettata in avanti, non guardo al passato».
Come è riuscita farsi rispettare in un mondo, a quei tempi, così maschile?
«All'epoca c'erano solo tre donne pilota, le navigatrici già erano di più. Alla prima gara vinsi la mia classe e diventai molto conosciuta. Furono obbligati a considerarmi. Se fai il lavoro seriamente, tutti ti trattano con serietà e rispetto, a prescindere dal fatto di essere uomo o donna. Non c'è mai stato chi mi abbia detto: non sei all'altezza. Purtroppo le donne pilota continuano ad essere pochissime. Non capisco per quale ragione».
Ha mai aiutato le giovani ad entrare in questo mondo?
«Per 5 anni ho fatto parte nella Fia della Commissione delle donne. Abbiamo fatto scouting a livello mondiale, cercato e sostenuto donne che volevano avvicinarsi ai rally. Abbiamo trovato diversi nomi, nessuna italiana però».
Che talento deve avere un navigatore?
«La calma, soprattutto. Poi deve conoscere i regolamenti e le lingue. Sono sempre stata molto calma, mi viene spontaneo in macchina. Non lo sono altrettanto con i miei due figli e i due nipoti. Li metterei sotto una campana di vetro e non li farei muovere da lì».
In famiglia le chiedono di smettere di correre?
«I mie due figli dopo l'incidente di un anno e mezzo fa mi hanno pregato di smettere. Gli ho risposto: no. Mi sento a posto quando salgo in macchina, indosso il casco e la cintura. Lì sono veramente me stessa, è la vita che adoro fare».
 

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