Rachele Spagnuolo, maggiore dei carabinieri: «Sulla scena del delitto è l'ora delle detective»

Rachele Spagnuolo, maggiore dei carabinieri: «Sulla scena del delitto è l'ora delle detective»
di Maria Lombardi
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Sabato 18 Febbraio 2023, 07:08 - Ultimo aggiornamento: 21 Marzo, 14:21

Maggiore dei carabinieri Rachele Spagnuolo, 41 anni, comandante della sezione di Psicologia investigativa del Reparto di analisi criminologiche. Ci può spiegare precisamente di cosa si occupa?
«Sono un ufficiale di ruolo tecnico, una psicologa con una formazione in ambito clinico e criminologico. Mi occupo, come comandante e insieme al team composto dai militari della sezione, di delitti particolarmente efferati, di matrice violenta, senza apparente movente, seriali o con autore ignoto».

Che contributo date alle indagini?
«Analizziamo i casi da un punto di vista psicologico e dello studio della personalità offrendo una diversa chiave di lettura attraverso l'analisi criminologica dei fatti. La nostra indagine si affianca alle tradizionali attività investigative e di polizia giudiziaria. Ricostruiamo il profilo dell'autore, della vittima, e anche il processo di interazione tra vittima-autore-contesto attraverso l'analisi di vari elementi: di natura psicologica, espressiva o simbolica».

Ci può fare un esempio?
«Un caso di delitto non chiaro, era necessario comprendere se si trattasse di omicidio o suicidio. Abbiamo dimostrato che non sussistevano fattori di rischio per il suicidio, che la vittima aveva risorse importanti dal punto di vista psicologico. Attraverso l'analisi della vittima e del suo vissuto abbiamo fatto emergere come l'ipotesi del suicidio fosse inverosimile».

In che modo intervenite sulla scena del delitto?
«Con interrogatori delle persone coinvolte e con sommarie informazioni ripercorriamo le fasi attraverso cui quel delitto è maturato, e formuliamo le ipotesi sulle motivazioni alla base del crimine e il profilo delle personalità di vittima e autore ignoto».

Quale è stato il suo percorso?
«A 29 anni mi sono arruolata nell'Arma dei Carabiniere attraverso un concorso per ufficiale di ruolo tecnico, specialità psicologia. Dopo la laurea, a 23 anni, avevo maturato le prime esperienze professionali in ambito civile. Mi ha spinto verso questa scelta il desiderio di sentirmi parte di qualcosa di "più grande" e poter essere, anche nel mio piccolo, al servizio della collettività. Dopo un corso formativo di un anno alla Scuola Ufficiali Carabinieri sono stata assegnata al Centro Nazionale di Selezione e Reclutamento e, successivamente, al RaCIS, ossia il Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche di cui fanno parte sia il Rac che il Ris. Dal 2020 sono comandante di questa sezione».

Indossare la divisa era il suo sogno?
«Ho sempre immaginato che mi sarei occupata di qualcosa nell'ambito della legalità. La divisa è stata una scelta maturata nel tempo e con consapevolezza».

Quali sono stati i casi di cui si è occupata più difficili?
«Ogni caso ha una sua complessità, si inserisce in percorsi esistenziali unici e lascia il segno perché scaviamo a fondo nelle storie di vita delle persone coinvolte, soprattutto delle vittime. Un caso, però, lo ricordo in modo particolare. Sono mamma di due bambini, uno di cinque e l'altra di quasi due. Uno dei primi casi che ho affrontato è stato quello di un bambino brutalmente assassinato dal padre. Quel bambino aveva più o meno l'età di mio figlio, e oltretutto ero in attesa della mia seconda figlia. Questo caso, devo dire, anche per la mia personale condizione, mi ha molto toccato sia dal punto di vista umano che emotivo. L'ho gestito attingendo alle mie risorse personali, in parte a quelle professionali, con la consapevolezza della natura del mio compito e del mio incarico».

Che tipo di difficoltà ha incontrato nella sua carriera?
«È stato un percorso molto impegnativo ma anche molto appagante. Mio marito mi aiuta tanto nella gestione della famiglia. Il nostro reparto una competenza nazionale e quindi viaggio spesso».

Ci sono altre donne nel reparto di analisi criminologiche? In che ruolo?
«Il Reparto Analisi Criminologiche gode di una buona componente femminile, presente sia nel ruolo ufficiali, come il comandante della sezione Atti Persecutori che ha un focus specifico sulla violenza di genere, sia nel ruolo di marescialli e brigadieri, quali addetti alle sezioni. Si tratta di personale altamente qualificato, per la maggior parte con una formazione in psicologia e criminologia, oltre che un importante background di esperienze maturate in altri contesti istituzionali di stampo investigativo».

C'è un particolare contributo che riescono a dare le investigatrici alle indagini?
«Le donne hanno generalmente una visione d'insieme molto puntuale e un'attenzione ai dettagli, riescono a cogliere le "sfumature" che spesso sono determinanti nella comprensione di qualcosa, e questo si traduce anche in importanti contributi alle indagini. Inoltre, quando appassionate di ciò che fanno, hanno un approccio al lavoro connotato da rigore e determinazione».

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