Anna Monari, guida alpina: «La scalata delle donne in vetta al Monte Rosa»

Anna Monari, guida alpina: «La scalata delle donne in vetta al Monte Rosa»
di Valeria Arnaldi
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Lunedì 14 Novembre 2022, 22:07 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 01:36

Una ventina. Tante - poche, in realtà - sono le guide alpine donna nel nostro Paese. Stando ai dati 2022 del Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane, sono venti sul totale di 1.165 guide e sei aspiranti su 139. Ossia, meno del due per cento del dato complessivo. Anna Monari, 54 anni, è una di loro. Dopo essersi laureata in ingegneria, è rimasta incantata dalla magia della montagna e, ora è la Pink Guide di Monterosa. Liberamente femminile, iniziativa di Monterosa Ski per la nuova stagione invernale, concepita per invitare le donne a prendersi un po' di tempo per se stesse, mettersi alla prova, tra sci-alpinismo e Freeride, e andare alla scoperta del Monte Rosa. Parte dei ricavati degli appuntamenti, previsti a gennaio, febbraio e marzo, sarà devoluta alla sede valdostana di Lilt, Lega Italiana per la Lotta ai Tumori. Abbiamo raggiunto Anna Monari per capire come si scala un mondo al maschile.
Come è passata da ingegneria alla montagna?
«La facoltà di ingegneria è stata una scelta dettata, diciamo, più da motivi familiari che da vero interesse. A Milano, la settimana si divideva tra lo studio e gli allenamenti con una squadra di basket. Poi, ho fatto l'Erasmus in Irlanda e lì ho capito che volevo trascorrere più tempo all'aria aperta. Tornata in Italia in inverno, mi sono iscritta a un corso di sci-alpinismo e così mi sono innamorata della montagna».
 

Cosa l'ha stregata?
«Per me vivere la montagna non significava fare grandi imprese ma immergermi nella natura. Ed è quello che penso e sento ancora oggi».
 

Quando ha deciso di diventare guida alpina?
«Nel 2001 mi sono iscritta al corso per diventare guida professionista. Il corso dura due anni, poi ce ne è uno di praticantato, cui segue l'esame di stato. Adesso ci sono molti corsi regionali, io ho seguito quello nazionale ed è stata una delle migliori esperienze che abbia mai fatto. Sono stata sulle cime più belle, con gli istruttori migliori. E nel mio corso, c'era anche un'altra donna, una cosa rara».

È stato difficile, da donna, muoversi in un ambito maschile?
«L'approccio degli uomini alla montagna è basato molto sulla sfida, sul mettersi alla prova, a volte, anche rischiando. Considerano il pericolo una parte del gioco e alcuni vanno quasi a cercarlo. Personalmente, penso che se posso fare una cosa senza rischiare, sono più contenta. Gli uomini sono fortemente competitivi. E quindi, in quanto donna, ti guardano con diffidenza. Poi magari, riesci a fargli cambiare idea».


Ha parlato di rischio. L'esperienza più pericolosa che ha fatto?
«Prima del corso e insieme a colui che sarebbe diventato il padre di mia figlia. Era una guida alpina. A causa del maltempo, sono rimasta con lui, due notti, a quattromila metri, sullo Sperone Walker, la cima più alta delle Grandes Jorasses, aspettando che tornasse il bel tempo. È stato traumatico, ho provato molta paura, stavo iniziando, ero ancora inesperta e ho pensato che se ne fossi uscita viva, non avrei mai più messo piede in montagna. E invece, la montagna è diventata l'amore della mia vita».


Torniamo al rapporto con i colleghi. Dal corso al lavoro vero e proprio le cose sono cambiate?
«La situazione per le donne, sul lavoro, è ancora più complicata. E non è solo una questione di colleghi, ma anche di chi cerca una guida, specie nei piccoli paesi. Rispetto a un uomo, è più difficile trovare lavoro. Alcuni hanno problemi a relazionarsi con una guida donna. E vale anche per talune donne, tante preferiscono una figura maschile, secondo il cliché della guida alpina».


Oggi, però, c'è l'iniziativa Pink Experience, per le donne che vogliono cimentarsi con sci alpinismo e freeride.
«Mi piace riuscire a far sì che le donne riescano a ritagliarsi del tempo per pensare a sé stesse e a godere di spazi come quelli della montagna, che prima erano considerati appannaggio maschile. Le più grandi soddisfazioni le ho con le mamme, che in questo tipo di esperienze si liberano. Credo che ciò poi le aiuti anche a vivere meglio la famiglia».


È guida da vent'anni, come è cambiato il modo delle donne di vivere la montagna?
«Sicuramente sono aumentate. Dispiace un po' quando vengono soltanto per fare fitness o cercare scorci per i selfie, senza vivere davvero il momento. La montagna aiuta a conoscersi meglio, insegna a crescere e a gestire le emozioni».


Per le giovani che vogliono diventare guide, oggi ci sono più opportunità?
«Oggi finalmente ci si sta accorgendo che forse una donna può essere meno potente, fisicamente, di un uomo - peraltro non è detto che lo sia - ma ciò non significa che non riesca a supplire in tanti altri modi. C'è più spazio per quante iniziano, ma c'è ancora molto da fare in termini culturali. Le cose però stanno cambiando. E, chissà, magari con più guide donna potrebbe mutare anche lo sguardo degli uomini».
 

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