La moda secondo Sofia Gnoli: «L'indipendenza della donna sta nel cervello, non sta nella moda»

Sofia Gnoli indossa un cappotto di Marco De Vincenzo, collezione AI 2019-20
di Valentina Venturi
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Mercoledì 2 Dicembre 2020, 17:22 - Ultimo aggiornamento: 17:23

«La moda è la fotografia di quello che succede in un dato momento. Non ha influito sulla donna: la moda rispecchia ciò che è la donna di una determinata fase storica». Sofia Gnoli, giornalista e storica della moda, dopo otto anni pubblica aggiornandolo, il compendio "Moda. Dalla nascita della haute couture a oggi", Carocci Editore. Una sorta di coinvolgente Bignami della storia del costume attraverso gli ultimi centocinquanta anni, per ripercorrere i passaggi epocali di quella che è parte integrante della femminilità. 

Il covid-19 ha portato alla donna maggiore comodità?

«Durante la pandemia a marzo è apparsa una foto di Anna Wintour in tuta. Quella foto è chiarificatrice: non va di moda la tuta, ma è quello che succede che ti porta ad indossarla. La storia fa andare di moda la tuta».

Chi ha rivoluzionato la visione della donna?

«Non trovo ci sia stata una persona che abbia fatto la rivoluzione, tante ne hanno fatte diverse. Paradossalmente dagli anni '20 fino agli anni '40 da un punto di vista sartoriale dominano tre donne, ognuna con uno stile diverso.   Elsa Schiaparelli è famosa per la sua arditezza e per il contatto con gli artisti, Coco Chanel per la sua povertà di lusso e Madeleine Vionnet per un abbigliamento che sottolinea senza comprimere la silhouette, una femminilità dallo stile molto grecizzante e per l'idea di purezza delle linee».

Cosa ha inventato Coco Chanel?

«Esattamente un secolo fa negli anni Venti Chanel lancia la moda svelta non costrittiva utilizzando il jersey, una maglina che si modifica quando il corpo si muove. È il condensato del confort. Un'idea che ha successo perché la donna in quel momento storico, alla fine della Prima guerra mondiale, aveva cominciato a sostituire l’uomo nelle attività lavorative e non poteva più indossare né corsetti né vestiti costruttivi: le serviva un abbigliamento dinamico. La bravura, il successo di Chanel è stato nell'aver saputo cogliere ciò che era nell’aria. All’inizio degli anni Trenta la giornalista Janet Flanner che la intervista sul "New Yorker" scrive: "Chanel ha fatto entrare i maglioni dei teppisti, ha vestito le regine con la tuta da meccanico”. Chanel è stata anche una delle prime ad ispirarsi allo Street Wear creando maglioni che richiamavano quelli dei marinai».

La romana Schiaparelli cosa fa?

«Nata a Roma, Elsa fa fortuna a Parigi negli anni '20. Qui si impone come il contraltare di Chanel: tanto quest’ultima è la paladina dell’essenzialità e di una moda finto povera, tanto Schiaparelli è stata una delle prime stiliste di moda a collaborare con gli artisti, famosa quella con Dalì. Chanel è musa di una moda silenziosa, di colori non colori e rilancia il tubino nero, invece Schiaparelli è tutto un fuoco d’artificio; se Mademoiselle Coco ama il bianco e il beige, Schiaparelli lancia la moda del rosa shocking. Amava così tanto questo colore da chiamare la sua biografia "Shocking life"».

Quale stilista donna ha segnato il presente?

«Miuccia Prada, un genio. Ha segnato la moda a partire dagli anni Novanta fino all’avvento di Alessandro Michele in Guggi. In lei vive il concetto di sfidarsi facendo delle cose brutte. Un brutto voluto, prendendo le fantasie più squallide delle tovaglie e delle carte da parati dai colori verde marcio fine anni Sessanta e i primi Settanta e farle rientrare nella moda. Per la sua estrazione altro borghese milanese, per Miuccia fare un vestito carino era facile, per cui dichiarava: "Mi voglio sfidare con quello che non mi piace". Nel 2012 il Metropolitan Museum of Art di New York  le ha dedicato la mostra “Schiaparelli & Prada: Impossible Conversations”, mettendola a confronto con Schiaparelli». 

Il futuro come si prospetta?

«Negli ultimi mesi si è parlato molto dell’estetica del diverso, della modella armena (Armine Harutyunyan, scelta da Gucci e vittima di body shaming, ndr.). Forse siamo arrivati a un'esasperazione, ad un eccessivo e compulsivo “famolo strano” per cui si ritornerà anche a uno stile diverso. La moda non è indipendente da quello che succede storicamente».

Qual è il capo che ha dato indipendenza alla donna?

«È difficile trovare un capo rivoluzionario: non è né la giacca della donna manager di Giorgio Armani e nemmeno la tuta di Wintour. La verità è che l'indipendenza della donna sta nel cervello, non sta nella moda. Tutto dipende da come ti poni, da come sei e da come ragioni. La giacca manager di Armani può essere l’introduzione, aiuta ma non fa. Magari ci fosse una ricetta!».

 

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