L'imprenditrice Anna Fiscale: «La mia moda etica recupera i tessuti e aiuta le persone fragili e le vittime di violenza»

L'imprenditrice Anna Fiscale
di Lucilla Piccioni e Vanna Ugolini
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Sabato 15 Aprile 2023, 13:08
Quello scampolo di seta, in controluce, sembra brillare di più. Forse è un'impressione o, forse, è rimasta impigliata sul tessuto un po' della luccicanza degli occhi di Stella, che hanno ripreso a brillare. Stella era una ragazza vittima di tratta, strappata dal suo Paese e buttata sui marciapiedi di una città del nord con l'obbligo di svendere il proprio corpo. Oggi, Stella lavora, ha una sua indipendenza economica e, soprattutto, un progetto di vita.
C'è anche questo dietro l'impresa sociale "Quid", creata dieci anno fa da Anna Fiscale, una giovane manager di 34 anni, veronese, con laurea e master, che, anziché scegliere la strada, ad esempio, dell'alta finanza, ha scelto quello della produzione etica.
Il presidente Mattarella le ha conferito la nomina di Cavaliere del lavoro e consegnato il premio Marisa Bellisario nel 2021. Una settimana fa ha ricevuto il premio San Valentino dall'Istess di Terni per l'economia. Come è nata e in cosa si distingue la sua impresa sociale?
«Fin da bambina ho sempre amato disegnare i miei vestiti. Da quel sogno parte tutto il progetto. Tramite la creatività e la bellezza non solo recuperiamo stoffe che altrimenti finirebbero al macero, ma offriamo anche concrete opportunità di occupazione a persone che hanno alle spalle brutte esperienze anche nel campo del lavoro. Partiamo dal bello perché non c'è niente di più bello che avere una seconda opportunità».
Ci vuole dare qualche numero della sua azienda?
«Quid è un'impresa sociale nata nel 2013 che realizza abiti da donna, 100mila l'anno ed accessori, un milione l'anno, utilizzando eccedenze di tessuti di alta moda che gli vengono donati o venduti a prezzi scontati. Centocinquanta sono i dipendenti, l'ottanta per cento sono donne, il settanta per cento di queste ha un percorso di fragilità. Persone vittime di violenze, persone con dipendenza, persone con invalidità o ex detenuti, che, tramite progetti con il carcere, una volta scontata la loro pena, hanno avuto la possibilità di essere inseriti in azienda con un lavoro stabile».
Ci può fare qualche esempio?
«Quando siamo partiti l'idea era quella di creare abiti in piccoli laboratori sartoriali. Un anno dopo viene attivata una collaborazione con la sezione femminile della casa circondariale di Montorio e intanto le prime collezioni arrivano nei negozi di Verona. Da allora le richieste salgono sempre di più, si lavora avendo ben chiari tre ideali: recuperare, creare, costruire. Recuperare stoffe, creare utilizzando immaginazione e creatività e costruire progetti ad alto impatto sociale in cui la fragilità non significa per forza esclusione. Per cambiare la cultura del lavoro si può partire anche dalla moda. Vogliamo essere di ispirazione per altre persone e diventare parte di un cambiamento più grande».
Un modo di produrre che accende la luce su una violenza quasi invisibile, che resta sempre ai margini, quella delle vittime di tratta.
«Nel 2018 abbiamo assunto donne vittime di tratta che ci aveva segnalato il progetto Crisalide. Alcune erano state prese in carico da associazioni, altre erano state prese dalla strada. Queste donne sono ancora in Quid. Hanno avuto la possibilità di un inserimento lavorativo ma anche di altri supporti. Cito, ad esempio, un workshop di arteterapia, ma anche altri sostegni che possono essere stati utili per loro e per il loro reinserimento».
Lei è manager e ha due figlie. Nella sua azienda c'è attenzione a chi ha una famiglia?
«La maternità è una esperienza meravigliosa, ma ancora non ci sono sostegni ed aiuti per una donna che è a capo di un'impresa, non è sempre facile coniugare vita lavorativa e familiare. Nella mia azienda gli orari di lavoro cercano di essere a misura di famiglia, dalle 8,30 alle 16,30».
In questi dieci anni di "Quid" ha creato anche altri laboratori nell'Italia centrale e del nord. Ci sono richieste per aprirli altrove?
«È un'operazione difficile. Entrare in una nuova realtà vuol dire creare lavoro e dare nuove opportunità a chi pensa di non averne più ma il mercato è spietato. Per prima cosa bisogna fare un'indagine di mercato, vedere cosa esiste di simile, vedere se esistono opportunità di lavoro per un'impresa del genere».
Ci sono stati momenti difficili per la sua impresa?
«Durante il Covid ho temuto per la tenuta di alcuni punti vendita. Poi abbiamo capito che fare mascherine certificate poteva essere una alternativa valida. E siamo riuscite addirittura ad aumentare il fatturato».
Come è cambiato il lavoro in questi anni?
«Se durante i primi anni una delle maggiori difficoltà era reperire i materiali per le produzioni dei capi di abbigliamento, dal momento che l'idea del riciclo e del riuso non era ancora così diffusa, oggi sono le stesse aziende, tra cui anche brand rinomati che inviano i propri materiali direttamente ai laboratori del progetto».
Laboratori che creano capi così di pregio che, oltre alla produzione per i propri negozi, lavorano per altri. L'azienda collabora anche con altre realtà come Fendi, L'Oréal, Calzedonia che chiedono loro di fare alcune produzioni da vendere poi nei loro negozi. Un percorso in cui economia, ecologia ed etica camminano di pari passo.

 
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