Al Maxi processo contro la 'Ndrangheta un collegio tutto al femminile guidato da Brigida Cavasino

Al Maxi processo contro la 'Ndrangheta un collegio tutto al femminile guidato da Brigida Cavasino
di Franca Giansoldati e Maria Lombardi
4 Minuti di Lettura
Domenica 7 Febbraio 2021, 09:22

I numeri sono impressionanti e offrono subito la dimensione di cosa hanno davanti queste tre giovani magistrate nell’aula bunker di Lamezia Terme: 300 imputati di mafia e 400 capi di imputazione. La presidenza del collegio giudicante è nelle mani di Brigida Cavasino. Si tratta del più grande e importante processo alla ‘Ndrangheta che sia mai stato preparato. Un processo difficile - denominato “Rinascita-Scott” - contro le cosche del vibonese e i legami occulti e tentacolari che si sono sviluppati in Calabria e nel resto d’Italia, non solo in ambienti malavitosi ma anche politici, istituzionali e tra le pieghe della massoneria deviata. 


Alla prima udienza del maxi-processo in un edificio nuovissimo realizzato nell’area industriale di Lamezia, la presidentessa Cavasino, classe 1982, l’anno in cui la mafia uccideva il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo ha fatto partire la macchina della giustizia, tutt’altro che intimidita.

Dopo il tirocinio a Roma questa è la sua prima esperienza di un tribunale penale. Accanto a lei le altre due colleghe, Gilda Romano e Claudia Caputo. Contrariamente al maxi-processo di Palermo, il processo sulla ‘Ndrangheta, non si potrà seguire in diretta, visto che state vietate tutte le riprese televisive nonostante l’attenzione internazionale dalla Associated Press alla France Press, dalla Reuters al Times, alla Bbc. A deciderlo è stata proprio Cavasino con una lapidaria comunicazione: «le riprese audio-video durante la celebrazione dell’udienza non sono autorizzate». Una decisione che proiettato a non spettacolarizzare l’evento, a costo di andare contro corrente e non seguire quello che fu fatto per l’altro grande maxi-processo contro la mafia, quello del 1986, le cui immagini costituiscono ancora oggi un archivio documentale di grande interesse. 
Mascherina sul viso, distanziamenti sociali obbligati, modi gentili ma fermi: la presidentessa è andata avanti per la sua strada nonostante i mugugni della stampa. 


Tutto e’ stato disposto per fare udienza sei giorni su sette, compresa la sanificazione giornaliera degli ambienti e la vigilanza.

I pericoli sui giudici sono evidenti. Il Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, rivolgendosi alla Corte ha chiesto che i giudici vengano «esonerati dal trattare altre questioni penali per dedicarsi esclusivamente a questo dibattimento». L’obiettivo è di fare presto, di far avanzare i lavori celermente. Cavasino nel frattempo ha fissato un fitto calendario iniziale, poi le udienze si allenteranno a 3/4 giorni la settimana. 


L’altra decisione importante è di unire i tronconi processuali, seguendo l’indicazione della Dda di Catanzaro, alla quale hanno fatto muro i difensori. Dal verbale di un interrogatorio di un collaboratore di giustizia chiave, Gaetano Antonio Cannata’ è filtrata la strategia difensiva portata a dilatare i tempi con l’obiettivo di fare scadere i termini di carcerazione preventiva. Un avvocato difensore ha inoltre annunciato l’intenzione di chiedere la ricusazione della Cavasino perché faceva già parte in passato del collegio giudicante nel processo Nemea contro il clan Soriano, correlato con Rinascita-Scott.

Sulle spalle di questo collegio giudicante pesa una responsabilità enorme oltre che una alta esposizione al pericolo. Chi non si stupisce che il maxi-processo contro le più pericolose ‘ndrine verrà giudicato tutto al femminile è Gabriella Luccioli, la prima magistrata a vincere un concorso in Italia e protagonista di tante battaglie sulla parità. 


«Le donne sono ormai il 54% e se continua questo trend, visto che vincono con maggiore facilità i concorsi, avremo una magistratura decisamente al femminile, un po’ come è accaduto in Francia dove sono entrate prima. E’ naturale che siano destinate in qualsiasi ufficio. Tutto dipende dalla graduatoria e dalle sedi disponibili in un dato momento. Che vi siano tante donne giudicanti nelle sedi del Sud di per sé non significa nulla. Le discriminazioni, finora, interessano piuttosto gli uffici direttivi. Lì vi è ancora il famoso soffitto di cristallo da sbriciolare. Ma è solo una questione di tempo» dice. 


Secondo Luccioli però alle magistrate viene chiesto di più. Per essere percepite come uguali ai magistrati «devono acquisire una professionalità elevatissima, anche perché il minimo errore le ricaccerebbe indietro. Quindi a loro dico, massima professionalità, massimo rigore e poi sapranno trovare la capacità di dirigere un processo così complesso. Ma sono sicura che ce la faranno»
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA