Masih e la rivoluzione dei capelli «Sono la voce di chi non ha libertà»

Masih e la rivoluzione dei capelli «Sono la voce di chi non ha libertà»
di Simona Verrazzo
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Domenica 13 Marzo 2022, 12:02

Mostrare i capelli come atto di opposizione verso un regime che vuole le donne relegate, ai margini, coperte in ogni parte del corpo, a cominciare proprio dai loro capelli. Un gesto che può costare il carcere in paesi come l'Iran. Lo sa bene Masih Alinejad, giornalista e attivista, costretta all'esilio per il suo impegno in difesa dei diritti umani, in particolare della popolazione femminile, ancora più discriminata nella teocrazia degli ayatollah. E adesso la sua storia, con il rivoluzionario gesto di mostrare i capelli in pubblico, è diventata un docu-film: Be my voice.

A firmare il lavoro è un'altra donna: Nahid Sarvestani Persson, anche lei iraniana, anche lei esiliata, una delle più importanti registe che con le sue opere vuole dare voce a coloro che non possono essere libere. Il risultato è un racconto vero, intenso, dove emerge il filo che unisce Masih e Nahid, davanti e dietro la macchina da presa. «Ho iniziato una rivoluzione dalla cucina di casa mia, perché mio fratello poteva fare tante cose che a me erano vietate: nuotare, andare in bici, cantare, lasciare i capelli al vento. Ero solo una bambina ma sapevo di voler fare tutto questo», ha detto Masih Alinejad durante l'incontro di presentazione del documentario ora nelle sale italiane, distibuito da Tucker Film.


Classe 1976, originaria di Ghomi Kola, nella provincia settentrionale di Babol affacciata sul Mar Caspio, Masoumeh Alinejad è nota al pubblico come Masih, che in persiano significa Messia. Fin da giovanissima sa che la sua strada è quella del giornalismo, la missione con cui può testimoniare il mancato rispetto dei diritti umani, in particolare delle donne. Si distingue per lo spirito libero, indipendente, emancipato, tanto che nel 1994, quando ha soltanto 18 anni, viene arrestata per aver distribuito a scuola volantini critici verso il regime.


È nel 2001 che inizia a fare la giornalista a tempo pieno, anche parlamentare, firmando diverse inchieste, come quella del 2005 in cui denuncia i bonus intascati dai politici. La svolta arriva nel 2009: è l'anno delle proteste di piazza da parte della popolazione per la rielezione a presidente dell'ultra-conservatore Mahmoud Ahmadinejad, represse con centinaia di arresti, e per lei si aprono le porte dell'esilio, trasferendosi negli Stati Uniti. Da lì continua a seguire e a raccontare cosa accade nel suo paese natale, collaborando alla versione persiana del programma internazionale Voice of America. Nel 2014, dalla sua pagina Facebook che non a caso si chiama My stealthy freedom (La mia libertà clandestina), lancia una campagna contro l'obbligo del velo, invitando le donne a toglierlo e a mostrare i loro capelli. L'iniziativa fa il giro del mondo e in pochissimo tempo, sui social network, donne di ogni età e da ogni paese rispondono al suo appello. Lei diventa «la voce» di chi non ha libertà.

Nel 2017 una nuova campagna, sempre contro l'obbligo del velo, incita le donne a vestire di bianco ogni mercoledì, come segno di protesta verso il velo scuro, nella maggior parte dei casi nero. Nel 2020 il suo impegno è al centro del volume Il vento fra i capelli (pubblicato in Italia da Nessun Dogma editore). «Quando le rappresentanti politiche occidentali vanno in Medio Oriente e si mettono l'hijab, vanificano il lavoro fatto. Manca una sorellanza», denuncia Masih.


A raccontare una vita tanto straordinaria nel docu-film Be my voice è la regista Nahid Sarvestani Persson, che con Masih ha molte cose in comune. Nata nel 1960 a Shiraz, ex capitale dell'impero persiano nella regione centrale di Fars, è costretta a lasciare il suo paese nel 1979, durante la Rivoluzione iraniana. Come Masih anche Nahid è prima una studentessa e poi una giornalista attiva per la difesa dei diritti umani. Viene arrestata e in seguito è costretta all'esilio, trasferendosi, dopo un periodo a Dubai, in Svezia. È nel paese scandinavo che si dedica alla regia.
Simona Verrazzo

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