Zoya, prima donna pilota indiana alla guida di un Boeing: «Vi racconto il mio volo da record»

Zoya, prima donna pilota indiana alla guida di un Boeing: «Vi racconto il mio volo da record»
di Valeria Arnaldi
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Sabato 13 Novembre 2021, 10:23 - Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 17:45

«Tutto è iniziato sulla terrazza di casa dei miei genitori, quando di notte guardavo il cielo, cercando di vedere i Jumbo Jet che decollavano dal vicino aeroporto internazionale. Sentivo una strana connessione con quelle macchine volanti. Avevo otto anni. Da allora ho sognato di diventare pilota. Mi dissero che per una donna in India quella professione era impensabile, non me ne curai. Sono passati trent'anni da allora e oggi non guardo soltanto le nuvole, ma volo tra di esse».

Zoya Agarwal, 38 anni, Capitano Air India è la più giovane donna pilota in India ad aver pilotato un Boeing 777, nonché portavoce delle Nazioni unite per l'uguaglianza in occasione della Giornata internazionale della Gioventù, ha gli occhi accesi di entusiasmo quando illustra il suo percorso, come ha fatto l'altro giorno in Senato, nell'incontro Volevo toccare le stelle, promosso dalla senatrice Valeria Fedeli, capogruppo dem nella commissione Diritti umani, con gli interventi del senatore del Pd Roberto Rampi e della presidente dei senatori dem Simona Malpezzi. Abbiamo raggiunto Zoya Agarwal per farci raccontare il suo sogno e le difficoltà affrontate per realizzarlo, a partire proprio dalla condizione femminile in India.

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Mentre lei fantasticava su un futuro da pilota, cosa desideravano le sue amiche?
«Anche loro avevano dei sogni ma avevano più fratelli e sorelle, e quando le famiglie hanno tanti figli e scarse risorse finanziarie, sono sempre i maschi a ottenere l'istruzione migliore, da una ragazza ci si aspetta che termini la sua educazione e si sposi. Questa è la visione prevalente anche oggi, ma quando ero bambina era ancora più diffusa. Così le mie amiche si sono piegate alle pressioni di società e parenti e la maggior parte di loro ha messo su famiglia, che è una grande cosa e un'enorme responsabilità. Ho pieno rispetto per loro, ma ritengo inaccettabile che i sogni delle bambine siano considerati meno rilevanti di quelli dei bambini».
E i suoi genitori che futuro sognavano per lei?
«Vengo da un ambiente in cui non mi era nemmeno permesso sognare, figuriamoci pensare da sola a cosa volevo fare. Il sogno dei miei genitori per il mio futuro era che io terminassi la mia istruzione, mi sposassi e mi occupassi della famiglia. La colpa, però, non è di mio padre e mia madre, venivano da un ambiente in cui ci si aspettava questo da loro, hanno pensato che fosse la scelta migliore anche per me. Ma io avevo un sogno...».
Come hanno reagito quando lo hanno scoperto?
«Ricordo le lacrime di mia madre quando le dissi che volevo volare. Non mi interessavano bambole e giocattoli, volevo un telescopio. Venivo da un ambiente modesto, perciò chiesi ai miei di mettere da parte i soldi destinati a più regali di compleanno per comprarmene uno».
Alla fine hanno accettato il suo desiderio e ha potuto fare gli studi che voleva, diventando pilota: è stato difficile muoversi in un ambito professionale ritenuto maschile?
«Lo stereotipo diffuso è che le ragazze non siano brave quanto gli uomini. Io ero una delle poche donne pilota quando sono entrata in Air India, ero la più giovane e volevo dimostrare di essere capace quanto i ragazzi. Ho avuto la fortuna di avere colleghi che mi hanno trattata come un pilota e non come una ragazza. Le prospettive si cambiano un poco alla volta, giorno per giorno. Scalare una montagna è dura ma, più è impegnativa la salita, migliore è la vista. Quindi, sì, è stato difficile ma se fai le cose con passione, dai il 1000 per cento e contribuisci a costruire un mondo migliore per le generazioni future».
Molte le sfide corso della carriera: ha anche capitanato un equipaggio di sole donne nel volo da San Francisco a Bengaluru, una delle rotte aeree più lunghe del mondo.
«Non sono uscita dalla mia stanza a San Francisco per due giorni per esaminare tutti i dettagli. Era uno dei voli più lunghi del mondo, fatto per la prima volta con un equipaggio di sole donne, quindi dovevamo assicurarci che tutto fosse fatto nel migliore dei modi. Abbiamo fatto la storia».
È difficile per un team maschile accettare un comandante donna?
«È più complesso, perché generalmente i miei colleghi uomini hanno più anni di me e io sono il comandante, ma alla fine si tratta di un equilibrio tra rispetto, responsabilità, capacità».
Tra le tante imprese, i voli per i rimpatri degli indiani dagli Usa, in piena pandemia.
«Noi piloti siamo lavoratori in prima linea. Sono stata tra i primi che si sono offerti volontari. Il mio primo volo è stato alla Festa della mamma, era difficile stare lontano dalla mia, ma mi ha confortato pensare ai bimbi che avrei riunito con le loro madri».
Ha già scritto la storia, quali sono le nuove sfide che intende affrontare?
«Sento di avere un compito. Piegarsi alle pressioni dell'ambiente in cui si vive è facile, specie quando tutto è contro di te. Se a otto anni mi fossi arresa, oggi non sarei quello che sono. Desidero incoraggiare ragazze e donne a credere in se stesse. Voglio che tutte le bambine e le ragazze capiscano che se ce l'ho fatta io, possono farcela pure loro».

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