Cecilia Anesi: «Con Irpi la nuova frontiera del giornalismo d'inchiesta ma in Italia poche donne»

Cecilia Anesi, Irpimedia
di Vanna Ugolini
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Lunedì 29 Marzo 2021, 10:18 - Ultimo aggiornamento: 16:01

Ha cominciato a vent'anni a fare la giornalista, seguendo un percorso che ben poco ha a che vedere con il lavoro che si fa nelle redazioni. Ora Cecilia Anesi, umbra, a 33 anni, può festeggiare il primo anno di vita della testata di giornalismo investigativo italiano on line ha contribuito a creare, insieme ad altri colleghi, lei prima donna a farne parte, www.irpimedia.irpi.eu. A ottobre dello scorso anno è stata la prima italiana a vincere il premio "Cei Seemo Awards Outstanding Merits in Investigative Reporting". Un  premio internazionale di grandissimo prestigio che le è stato assegnato per una inchiesta fatta su un traffico internazionale di droga in tempo di pandemia. 

In realtà prima di essere una testata Irpi era una piattaforma di giornalismo investigativo già attiva da quasi una decina d'anni, (il nome è l'acronomico per Investigative Reporting Project Italy) è stata lo strumento attraverso il quale i giornalisti che vi collaboravano scrivevano articoli per le testate che glieli richiedevano. Ora la squadra di Irpimedia ha voluto fare un altro passo in avanti, creando, appunto, una testata autonoma che può pubblicare inchieste in autonomia, senza passare attraverso altre testate.

Per ora si tratta di una esperienza giornalistica di nicchia ma è impossibile non pensare che questi giovani colleghi, in realtà, stanno già con i piedi (e la testa) dentro al futuro da diversi anni. E se la pandemia ha rallentato il lavoro di questo primo anno della testata è anche vero che il loro modello di redazione liquida potrebbe essere ben presto copiato anche dalle testate più tradizionali, grazie  anche al fatto che lo smart working difficilmente scomparirà per sempre.

Da Città della Pieve al giornalismo internazionale Anesi ci arriva grazie alla passione che sente crescere dentro di lei fin da ragazzina. Per questo si costruisce un percorso di studi e professionale che non ha niente di tradizionale. A 16 anni vince una borsa di studio e va nel collegio del Mondo unito di Duino, vicino Trieste. Poi prosegue per studiare a Londra, città dove si ferma e prende il diploma di scuola superiore. Resta lì anche per la laurea che, senza alcun dubbio, prende in Giornalismo. «L'università inglese era molto pratica, ti mandavano per strada a imparare, ti facevano fare gli stage presso un giornale: la tesi di laurea l'ho fatta sul giornalismo d'inchiesta, traffico di rifiuti in Campania. A Londra ho incontrato Giulio Rubino, con cui ho partership lavorativa da più di 10 anni, e comincio a lavorare da free lance con l'impostazione che avevo imparato lì. Quell'anno, era il 2010 c'era il festival dedicato a Ilaria Alpi: vincemmo un budget per un documentario su un traffico di rifiuti tra Italia e Romania».

Un passo dopo l'altro, Anesi entra con Irpi «alla Conferenza mondiale del giornalismo d'inchiesta, a cui partecipano giornalisti da tutto il mondo. E' una grande famiglia di giornalisti di inchiesta che durante tutto l'anno è in contatto con newletter mentre ogni due anni organizza una conferenza in giro per il mondo. Lì abbiamo coosciuto una serie di colleghi internazionali che sono molto contenti di parlare con i giovani e che ci hanno dati molti strumenti e molta speranza. Nel 2011 a Kiev ci rendemmo conto che noi italiani eravamo gli uniti free lance, per l'Italia non c'erano giornalisti dalle redazioni». Da lì nasce l'idea di creare Irpi e, ora, di farlo diventare una testata. 

Il metodo di lavoro è completamente diverso da quello a cui sono abituate le testate tradizionali, perchè la parola d'ordine è la collaborazione. Tra giornalisti e anche con persone che fanno altre professioni. «Ad esempio abbiamo collaborato come Media parter per l'Italia all'inchiesta internazionae avviata da Le Monde "Open Lux" per capire chi sono i veri proprietari delle aziende in Lussemburgo. Hanno scelto noi perchè avevamo già lavorato per loro e perchè parliamo varie lingue e abbiamo studiato all'estero. Ma una parte del lavoro è stato fatto da un informatico che ha trovato i dati e poi li ha forniti ai Media partner perche ci lavorassero».

Più facile per loro lavorare all'estero che in italia. «Per sette, otto anni siamo stati una sorta di agenzia che creava contenuti e li vendeva alle varie testate. Ma, spesso, non riuscivamo nemmeno a coprire i costi. Inoltre molte inchieste non venivano comprate per paura delle querele temerarie. Così ora facciamo sentire direttamente la nostra voce». 

Per potersi permettere un equilibrio finanziario «abbiamo una consulente che fa un costante lavoro di fundraising, vinciamo bandi europei, facciamo parte di progetti di ricerca con istituzioni universitarie o veniamo finanziati attraverso bandi di fondazioni private. Purtroppo non c'è nessun ente italiano che ci sostiene»

E che mondo è quello del giornalismo di inchiesta dal punto di vista del genere? «Anche questo è un mondo di maschi. Io lavoro praticamente solo con uomini, mentre per fortuna, ho molte colleghe con cui collaboro a livello internazionale. I ogni caso, nella nostra redazione,  essendo una delle confondatrici del gruppo, abbiamo una totale parità. Anzi, in alcune situazioni la presenza di una donna è fondamentale se si devono fare degli appostamenti o dei controlli sotto copertura. Una coppia dà meno nell'occhio. Però mi piacerebbe ce ne fossero di più».

La mancanza di donne nel mondo dell'informazione d'inchiesta «è comunque un problema solo italiano. Ho amiche che fanno giornalismo d'inchiesta dal Perù al Kazakistan. Certo non è facile conciliare la vita privata, perchè sei spesso in viaggio ma non è facile per nessuno, nemmeno per gli uomini. Loro, però, trovano donne più disponibili ad accettare il tipo di lavoro che fanno».

Anesi, però, guarda avanti. «Ci piacerebbe entrare di più nelle case degli italiani. Non ci sentiamo concorrenti delle altre testate ma dei ponti, soprattutto con il giornalismo locale che è importantissimo perchè è da lì che vengono fuori gli spunti investigativi più importanti. Ormai abbiamo un database ricco, in più abbiamo una piattaforma per le segnalazioni anonime da cui ci vengono buoni spunti di lavoro. Vogliamo crescere e fare sempre meglio»

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