Erica Jong, la scrittrice: «Spero nella fine del femminismo, ma ancora servono regole per la parità»

Erica Jong, la scrittrice: «Spero nella fine del femminismo, ma ancora servono regole per la parità»
di Marina Valensise
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Sabato 15 Maggio 2021, 06:32 - Ultimo aggiornamento: 09:48

Evviva. Non passa giorno senza che una donna non conquisti un incarico di potere. L'abbiamo visto succedere alla Reuters con Alessandra Galloni, al Washinton Post con Sally Buzbee, ora anche in Italia con la direzione dei servizi segreti affidata a Elisabetta Belloni. E intanto le giovani generazioni si adeguano, dando per scontate i risulti delle battaglie delle loro madri e delle loro nonne per l'emancipazione delle donne e per la parità di diritti. Se è vero che il cambiamento è in corso, tanto che il femminismo sembra ormai un arnese vetusto, uno strumento inservibile, quasi che utilizzarlo fosse fuori tempo massimo, è anche vero però che le discriminazioni continuano, le donne continuano a competere a armi dispari, a trovarsi di fronte a pericoli che pensavamo primitivi, frutto di abusi, di violenza, di paure ancestrali. Nessuno potrebbe confermarlo meglio di Erica Jong, la scrittrice americana tra le più lette del mondo che esordì negli anni Settanta con Paura di volare, un romanzo non poco autobiografico che fece scalpore trattando di emancipazione e desiderio femminili.

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Innanzitutto, cosa pensa del Mee Too, degli effetti che questo questo movimento ha avuto sui rapporti tra i sessi?
«Quando diventi famoso per il sesso, vai incontro a un certo tipo di casting: ti chiedono solo di parlare di sesso, di uomini e donne e di rapporti tra i sessi. So bene che sono temi molto importanti, ma non sono le uniche cose importanti che esistano sul pianeta. Mi sembra di essere una specie di guru sessuale, e a volte mi domando se io sia degna di portare una responsabilità tanto pesante. Il Me Too in effetti è un movimento che riguarda le donne che si lamentano per il comportamento degli uomini. Implica che tutti gli uomini siano uguali, cosa che in effetti non è. Gli uomini possono essere timidi riguardo al sesso, subdoli, ambigui, così come possono esserlo le donne. Penso sia interessante vedere i molti modi in cui i sessi sono simili e i modi in cui invece siamo diversi».


Lei è nata in una famiglia di ebrei europei, fuggiti in America dalla Polonia e dalla Russia, passando per l'Inghilterra. Questa eredità cosa ha rappresentato per la sua vita e per la sua opera?
«Io ho un forte senso d'identità ebraica, ma non sono un'ebrea osservante. Ogni volta che entro in una sinagoga per una cerimonia o per un matrimonio penso tra me e me, Oh che cosa interessante, dovrei farlo più spesso, ma dal momento che non ho ricevuto un'educazione religiosa, niente mi obbliga a farlo. In compenso, ho un enorme interesse per la storia degli ebrei, per la nostra sete compulsiva di conoscenza che ha spinto molti di noi a diventare scrittori, e mi domando in che modo questa nostra differenza rispetto agli altri abbia influenzato noi ebrei e il modo in cui siamo stati trattati nel corso della storia. Ho spesso pensato di scrivere un libro sull'antisemitismo nel mondo moderno. Ma non l'ho ancora fatto».


Da americana nata agli inizi degli anni Quaranta, lei ha vissuto il femminismo e la liberazione sessuale come se fossero l'orizzonte della libertà individuale. Questa dinamica oggi è arrivata al termine? E perché?
«Il femminismo si è ripetuto in molte generazioni e in molti paesi. I diritti delle donne non vengono mai stabiliti una volta per tutte. Dato che siamo madri, e i bambini sono naturalmente importanti, sia sul piano personale sia per la società, a noi donne ci viene sempre detto come essere madri. E la gente si sente in diritto di dettare e criticare i nostri comportamenti. Certo i bambini sono importanti, certo la maternità è importante. Ma poiché solo le donne possono diventare madri, tutti quanti pensano di avere il diritto di dirci cosa dobbiamo fare. La più grande maledizione dell'essere donna è quella di sentirsi costantemente dire cosa fare dagli altri e avere la femminilità definita dagli altri».


Cosa la preoccupa di più per le giovani generazioni? La goffaggine che spesso ne caratterizza l'iniziazione sessuale e la tendenza verso la decivilizzazione di cui testimoniano la cultura dello stupro e la violenza senza freni?
«La cosa che più mi preoccupa? In realtà non sono affatto preoccupata per le giovani generazioni. Sembrano cavarsela benissimo nel prendersi cura di sé, molto meglio di quanto facesse la mia generazione o quella delle nostre madri».


Da scrittrice fra le più influenti, dopo il formidabile bilancio della sua autobiografia (Senza cerniera, la mia vita, Bompiani, 206 pagine, 18 euro) ci può dire qual è il maggiore suo rimpianto? E da donna, qual è la sua più grande speranza?
«Come autore non ho rimpianti. Ho scritto i libri che mi dettava il cuore, i libri che avevo bisogno di scrivere. Spero di continuare a farlo, scrivendo su cosa vuol dire crescere e invecchiare in un società che ti adora. Se sei onesto con te stesso, ci saranno sempre cose nuove di cui scrivere. Come donna, spero che il femminismo diventerà superfluo. Spero che i sessi diventeranno così uguali che non avremo bisogno di parlarne di continuo. Per il momento, abbiamo ancora bisogno di regole che favoriscano l'uguaglianza delle donne».

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