L'editrice Emilia Lodigiani: «La cultura del Nord, un modello di parità»

L'editrice Emilia Lodigiani: «La cultura del Nord, un modello di parità»
di Franca Giansoldati
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Sabato 8 Gennaio 2022, 09:28 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 19:52

Quando negli anni Ottanta è andata a pescare (letteralmente) dal profondo Nord i migliori scrittori contemporanei facendoli conoscere tradotti in Italia dove erano praticamente sconosciuti, Emilia Lodigiani non immaginava che avrebbe fatto rivivere il mito di quella terra leggendaria e lontanissima evocata già ai tempi dei greci, Iperborea, un nome che poi avrebbe scelto per la sua casa editrice, ormai specializzata in letteratura scandinava, baltica, finnica, olandese, belga. Oggi quel sogno è una solida azienda editoriale di nicchia, la cui gestione da poco è passata nelle mani dei due figli. «Iperborea è sempre stata una realtà molto femminile, fin dalla nascita, anche se ora c'è un terzo di maschi. Ma ovviamente non c'è nessun tipo di discriminazione, si sceglie solo per competenza».

Cosa ricorda degli inizi?
«L'entusiasmo sicuramente. Ho scoperto questi scrittori mentre vivevo a Parigi. Li ho letti in francese e mi interrogavo sul perché non fossero stati tradotti in italiano. Nessuno sapeva chi fossero Lars Gustafsson, Per Olov Enquist, Torgny Lindgren, Göran Tunström; perfino Nobel come Selma Lagerlöf o Pär Lagerkvist, a suo tempo pubblicati, erano spariti dal mercato. Giganti della cultura europea. Ero stupefatta. Era come se i nostri Pasolini, Moravia, Morante o Pavese fossero ancora sconosciuti. Mi sentivo in dovere di farli conoscere. E sulla base di questa spinta mi sono mossa partendo da zero, da semplice lettrice che non sapeva nulla del mondo editoriale».


Tra gli autori nordici che hanno maggiormente veicolato riflessioni sulla parità, ce n'è uno in particolare?
«Il tema si può dire che sia implicitamente sempre presente, addirittura nelle saghe medievali, e in modo esplicito non solo nelle opere, ma anche nella vita assolutamente non conformista di scrittrici di inizio Novecento, come Lagerlöf o Undset, o Tove Jansson. Tra gli scrittori mi viene in mente Enquist, in Italia spesso definito Sciascia svedese per la sua lucida voce critica della società. Penso in particolare al libro di Blanche e Marie. Anche perché Marie è Marie Curie, scienziata che pur avendo ottenuto due Premi Nobel, il primo per la sua scoperta del radio insieme al marito (visto che non si poteva assegnare un Nobel a una donna in campo scientifico), non poté avere la cattedra alla Sorbonne solo per la morte accidentale del marito. Insomma un romanzo in cui è evidente quanto cammino hanno ancora davanti le donne. E poi penso alla forza dei libri per l'infanzia..».


Per i bambini?
«Sì, lì il tema della parità è scontato, non solo adesso. Le famose protagoniste della letteratura nordica infantile, Pippi Calzelunghe o la Bibi di Karin Michaëlis, figlia di un capotreno che viaggia da sola per tutta la Danimarca, hanno da sempre veicolato modelli differenti. Le protagoniste sono bambine, capaci di decidere, scegliere, partire per fantastiche avventure e magari anche combinare guai. La letteratura per l'infanzia riflette una forte impronta paritaria. Legata, come sempre, al livello di istruzione: ricordo che la riforma scolastica che ha consentito la pari scolarità sociale e femminile e sconfitto l'analfabetismo, nei paesi scandinavi risale al 1860, praticamente un secolo prima di noi».


Aver lavorato a lungo con il Nord Europa la ha facilitata?
«Parzialmente. Ho operato in un campo quello della cultura e in particolare dei libri in cui non ho mai percepito una grande discriminazione tra uomini e donne».


L'inizio come è stato?
«Molto casalingo. Non sono arrivata ad avere la macchina per stampare in cantina come Virginia Woolf, ma l'ufficio per i primi sette anni è stato una stanza in casa! Comunque ricordo sempre l'emozione e in fondo la sorpresa della mia prima Fiera di Francoforte. Iperborea s.r.l. era appena nata da pochi giorni e sono partita con la mia lista dei primi dieci titoli che volevo pubblicare. Ero  lì, nel cuore dell'editoria mondiale, senza nessuna esperienza, con in mano solo un progetto, senza nessuna garanzia concreta da offrire, a parlare con i grandi editori del Nord chiedendo di acquistare i diritti dei loro maggiori autori. I miei primi incontri furono proprio con donne, che mi accolsero a braccia aperte, felici che in Italia finalmente qualcuno si interessasse a loro. E, quasi con mia sorpresa, mi diedero subito quella fiducia nel mio progetto - e quindi in me stessa - che io ancora non avevo. Accolsero tutte le mie richieste, solo per un titolo di Gustafsson, Morte di un apicultore, uno dei libri più belli che abbiamo pubblicato, dovetti aspettare un altro mese per avere la conferma, ma ormai sapevo che la casa editrice era davvero nata e potevo andare avanti».


Lei è stata premiata da diversi governi, dai Reali di Svezia, e poi si è impegnata tutta la vita a promuovere cammini di parità tra uomini e donne. Cosa vede per il futuro?

«Che siamo indirizzati sulla buona strada, nonostante il Covid abbia forse segnato una tappa di rallentamento, che la consapevolezza - che è la cosa più importante - inizia a esserci davvero. Anche se il cammino è ancora lungo, resto fiduciosa. Sicuramente il mondo nordico può fornire un buon modello di riferimento. Credo che abbiamo capito che uomini e donne non sono affatto uguali, anzi sono proprio diversi, non solo nel corpo visibile, ma anche nel cervello. Credo che per andare verso una società migliore l'unica speranza sia davvero un'integrazione e una collaborazione reale, paritaria, in cui l'apporto di uomini e donne avvenga in modo armonico, in tutti i campi. Compreso quello religioso, che resta importante nella sua influenza sulla società, e dove mi sembra ci sia ancora una scarsa consapevolezza».

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