L'astrofisica Edwige Pezzulli: «La parità di genere nella scienza garantisce un sapere più ricco»

Edwige Pezzulli
di Valentina Venturi
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Martedì 7 Giugno 2022, 15:10 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 09:49

Fa parte del Comitato Lazio delle Olimpiadi dell’Astronomia, ha vinto il Premio Nazionale per giovani ricercatori GiovedìScienza2019, è laureata in Astrofisica all’Università La Sapienza di Roma con focus sui buchi neri ed è tra le fondatrici di WeSTEAM Italia, rete di scienziate impegnate nella promozione di una scienza plurale e inclusiva. Ma Edwige Pezzulli è soprattutto una donna appassionata e convinta che “Il mistero è l’emozione fondamentale che sta alle sorgenti della vera arte e della vera scienza”, come pare usasse dire Albert Einstein. Eppure da professionista scientifica sa che ci sono ancora dei vuoti, dei buchi neri...

Cosa manca in Italia per l’indipendenza delle donne?

«L’attenzione verso le tematiche di genere sta aumentando, ma questo avviene in una cultura che ha comunque relegato le donne al margine per secoli. Le studentesse di discipline STEM (scienze, tecnologia, matematica e ingegneria) stanno aumentando, ma in questi settori, così come in quelli dove le donne sono sempre state la maggioranza, le disuguaglianze di genere continuano ad essere presenti. Come insegna la scienza, la realtà è complessa e complessa è anche la soluzione. È necessario partire proprio dalla cultura delle organizzazioni, e dagli stereotipi e pregiudizi di genere che ancora contaminano la nostra società, fuori e dentro la scienza».

Perché crede serva avvicinare le bambine al pensiero scientifico?

«C’è una frase di Maria Skłodowska, conosciuta come Marie Curie, che sintetizza bene il potere del pensiero scientifico: “Nella vita non c’è nulla da temere, ma solo da capire. Questo è proprio il momento di capire di più, così da avere meno paura”. Con queste poche parole, la scienziata polacca ha descritto bene quanto il nostro potere non passi tanto dalla conoscenza, quanto dagli strumenti che dobbiamo costruirci per comprendere, schematizzare, modellizzare, risolvere problemi. In poche parole, capire. Ed è questa capacità che è necessario coltivare per liberarci, ossia diventare individui liberi. Liberarci e sottrarci anche da schemi e stereotipi, come quelli che si hanno sulle persone che fanno scienza: uomini, bianchi, anziani, solitari, geniali. Insomma, si torna sempre ad Albert Einstein».

Invece?

«Invece la scienza è un soggetto collettivo, costituito da umani (e non oltre-umani, come Einstein), e liberare il suo volto dalla maschera del famoso fisico tedesco permetterebbe a più bambini, ma soprattutto bambine, di potersi immaginare in quei panni un domani. Soprattutto se forti dell’aver imparato a capire».

È con questo spirito che ha dato vita alla prima edizione di "Là fuori - Festival della scienza e dell'arte" dal 10 al 12 giugno a Villa Lazzaroni a Roma (Via Appia Nuova 522) e promosso dall’Associazione Insiemi di Scienza con Matteo Alparone: un percorso ricco di stimoli, per avvicinare bambine e bambine tra gli 8 ai 12 anni al pensiero scientifico tra STEM, teatro e musica. Può servire un festival della scienza e dell’arte?

«La scienza indaga la realtà, osserva e analizza la natura con un occhio in più, un occhio creativo e consapevole che genera modelli e descrizioni. Ma non è l’unica disciplina a farlo. L’indagine dell’artista è molto simile: isola l’oggetto di studio dal resto, focalizza l’attenzione sulle variabili interessanti, indaga attraverso pratiche condivise dalla propria comunità e trova una descrizione nel linguaggio di quella disciplina. Questa riflessione è stata la scintilla che ha portato alla nascita, nella periferia sud-est della capitale, di laboratori didattici per avvicinare le bambine e i bambini al pensiero scientifico attraverso la scienza e la sperimentazione soggettiva tipica dell’arte».

Da dove nasce l’idea del titolo "Là fuori - Festival della scienza e dell'arte"?

«Marta Mazza, l’editrice che ha curato la pubblicazione di un libro che ho scritto assieme ad altre cinque astrofisiche, mi fece conoscere una piccola guida alla scoperta della natura dal titolo "Là Fuori". Mi sono parse subito due parole essenziali, piene e ricche di tutto il necessario. La scienza è partire dal Fuori, con la F maiuscola, per costruirne una rappresentazione capace di andare oltre chi l’ha costruita, uscendo da “noi”. Allo stesso modo l’arte parte dalla relazione tra il Fuori e il Dentro, ne cerca una sintesi per restituire il risultato, di nuovo, al Fuori. Là Fuori: l’essenza dell’esplorazione umana della realtà».

Qual è la chiave per rendere la scienza interessante e/o divertente?

«Se ci pensiamo bene, la scienza è l’attività da bambini per eccellenza: ci si costruisce un’idea di come vadano le cose e questa idea viene messa alla prova continuamente dall’esperienza empirica. Ogni volta che si ha acquisito un sapere - vero fino a prova contraria (e i bambini questo lo sanno bene) - si continua a perlustrare per scoprire anfratti inesplorati, e di nuovo modelli, osservazioni, domande. Si risolvono problemi mai visti prima. Nella scienza vera il problema è qualcosa che spesso compare per la prima volta e che per definizione non ha già una soluzione. Non esistono dei passaggi prestabiliti per arrivare alla risposta. Esiste la creatività, l’immaginazione, la fantasia che, vincolati alle conoscenze scientifiche pregresse, possono portarci a delle piccole rivoluzioni del sapere».

Nel suo lavoro ha mai vissuto momenti di imbarazzo o difficoltà professionale?

«C’è un atteggiamento che ho notato in diversi uomini con cui ho collaborato, a dire il vero per lo più fuori da contesto scientifico vero e proprio: ogni volta che non mi trovavo d’accordo con quello che dicevano, il loro primo istinto era quello di rispiegarmi cosa avevano appena detto. Come se il punto fosse che non avessi capito, anziché non fossi d’accordo. Questo piccolo dettaglio mi è sempre parso molto significativo».

Cosa si augura porterà la parità nel campo scientifico?

«La parità di genere nella scienza non ha solo dei risvolti sociali, ma può condizionare il sapere scientifico vero e proprio. Quante volte abbiamo sentito parlare della scienza come di un insieme di verità imparziali, che prescinde dalle persone che la costruiscono e dal contesto nel quale si sviluppa? La verità è che chi fa scienza è un essere umano, e resta tale anche quando indossa il camice o scrive un’equazione. Ed essere umani vuol dire anche portare con sé un bagaglio di valori, di cultura, di convinzioni, a volte anche di pregiudizi, che possono condizionare le nostre osservazioni, così come le scelte che operiamo all’interno delle comunità scientifiche. La scienza, quindi, ha a che fare con la non neutralità quotidianamente».

Questo cosa implica?

«La parità di genere nella scienza gioca allora un ruolo fondamentale non soltanto per creare comunità scientifiche più giuste, ma anche per garantirci un sapere scientifico più ricco: se gli occhi di chi guarda e fa scienza possono condizionare la struttura, i metodi e i contenuti della scienza stessa, avere quanti più sguardi possibile ci aiuta a costruire un puzzle “completo” nella descrizione della realtà che ci circonda».

Roma è una città poco accogliente per le donne?

«La cultura in cui siamo immersi è presente ovviamente anche a Roma che però, essendo una grande città, ospita più diversità ed è forse per questo più abituata a interfacciarsi con realtà eterogenee, anche in termini di genere».

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