Pregiudizi maschilisti tipici della società italiana. L'Europa striglia i magistrati italiani

Pregiudizi maschilisti tipici della società italiana. L'Europa striglia i magistrati italiani
di Valentina Errante
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Venerdì 28 Maggio 2021, 10:36

 Pregiudizi maschilisti tipici della società italiana. È una decisione durissima contro l'Italia quella emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha condannato il nostro Paese per avere violato, con una sentenza, la sfera personale della presunta vittima di stupro, utilizzando argomenti estranei alla vicenda. La Cedu ha sottolineato, nelle sue motivazioni, «i passaggi che non hanno rispettato la vita privata e intima» della ragazza, «i commenti ingiustificati» e un «linguaggio e argomenti che veicolano i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana».

La vicenda riguarda l'assoluzione, davanti alla Corte d'appello di Firenze, di sette giovani accusati di violenza sessuale di gruppo. Una decisione che risale al 2015. Secondo l'accusa, i sette avevano abusato della giovane donna il 26 luglio 2008. Sei di loro, in primo grado, erano stati condannati ma, in appello, era arrivata l'assoluzione per tutti. Su questa seconda sentenza adesso la Corte di Strasburgo, accogliendo il ricorso della vittima, ha condannato l'Italia a risarcirle un danno di 12mila euro per aver violato aspetti della sua vita privata. Il pronunciamento della Cedu non entra nel merito dell'assoluzione, ma censura i contenuti sessisti delle motivazioni di secondo grado.

«Ingiustificato - affermano i giudici europei - il riferimento alla biancheria intima che la ricorrente indossava la sera dei fatti, come i commenti sulla sua bisessualità, le sue relazioni sentimentali o i rapporti sessuali che aveva avuto prima dei fatti presi in esame». I giudici di Strasburgo, inoltre, giudicano «inappropriate le considerazioni fatte sull'attitudine ambivalente rispetto al sesso della ricorrente».

Per l'accusa dopo aver passato la serata insieme al gruppo di giovani, che l'avevano fatta ubriacare, la ragazza era stata accompagnata in un parcheggio vicino alla Fortezza da Basso di Firenze dove, in auto, sarebbe avvenuto lo stupro. Dopo la denuncia, gli imputati erano stati arrestati. Il processo di primo grado si era concluso il 14 gennaio 2013, con sei condanne a 4 anni e 6 mesi di reclusione e un'assoluzione. Due anni dopo, il 4 marzo 2015, la corte di Appello aveva assolto tutti perché il fatto non sussiste. La procura generale di Firenze non ha mai presentato ricorso in Cassazione, ponendo fine di fatto alla vicenda giudiziaria. Nelle motivazioni, i giudici di appello avevano fatto riferimento a una vicenda «incresciosa» e «non encomiabile per nessuno» ma «penalmente non censurabile». Per la corte, con la sua denuncia, la ragazza voleva «rimuovere» quello che riteneva essere stato un suo «discutibile momento di debolezza e fragilità». Un giudizio, che aveva spinto la vittima a rivolgersi ai giudici di Strasburgo e che adesso la Corte definisce «fuori contesto e deplorevole». Così come tutti i riferimenti alla «sua vita non lineare» contenuti della sentenza che, già all'epoca, aveva suscitato molte reazioni e proteste anche sui social. La stessa giovane aveva reso pubblica una lettera in cui sosteneva che a essere giudicata era stata lei e non l'episodio che aveva denunciato. La Corte di Strasburgo afferma che questa violazione della vita privata e dell'immagine della ricorrente non può essere considerata «pertinente per vagliare la credibilità dell'interessata e la responsabilità penale degli accusati». Né può essere giustificata «dalla necessità di garantire il diritto alle difesa degli imputati».

L'avvocato Titti Carrano, che ha rappresentato a Strasburgo la ragazza si è detta «soddisfatta». È stato riconosciuto, sottolinea, che la dignità della sua assistita era stata «calpestata dall'autorità giudiziaria» che aveva emesso la sentenza di secondo grado. «La sentenza di appello - ha aggiunto - ha riproposto stereotipi di genere, minimizzando cosi la violenza, e ha rivittimizzato la ricorrente usando anche un linguaggio colpevolizzante. Purtroppo, questo non è l'unico caso in cui la non credibilità della donna si basa sulla vivisezione della sua vita personale e sessuale. Questo succede spesso nei tribunali italiani».

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