Lavoro, solo il 18% dei dirigenti è donna: l'uguaglianza di genere importante solo per 1 italiano su 4

Uguaglianza di genere importante solo per 1 italiano su 4, di questo passo ci vorranno 60 anni per la parità
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Martedì 15 Dicembre 2020, 12:33 - Ultimo aggiornamento: 12:56

Nel nostro Paese, l'uguaglianza di genere è fondamentale soltanto per circa un quarto degli italiani e appena il 18% delle posizioni regolate da un contratto da dirigente è occupato da donne, una percentuale che negli ultimi 10 anni è cresciuta di appena dello 0,3%, rimanendo quindi sostanzialmente invariata. E inoltre è proprio nei ruoli manageriali che emergono le maggiori differenze di retribuzione di genere nel nostro Paese. È uno dei dati emersi da un ampio studio sulle politiche di uguaglianza di genere sulla leadership femminile, realizzato dall'Osservatorio mercato del lavoro e competenze manageriali di 4.Manager, presentato oggi nel corso dell'evento 'Nuovi orizzonti manageriali - Donne al timone per la ripresa del Paesè.

Lo studio è stato realizzato attingendo a fonti diverse, tra cui i dati messi a disposizione dalla community 'Think4WomenManagerNetwork' e da 1.336 imprese italiane in relazione all'invio dei rapporti periodici sulla situazione del personale maschile e femminile nel biennio 2018-2019 e l'analisi degli strumenti di comunicazione digitale di 10.000 imprese e per l'analisi delle best pratice aziendali di 640 imprese, di cui 500 sono aderenti alla Carta per le pari opportunità. Lo studio illustra la situazione del gender gap sul mercato del lavoro italiano, con una particolare attenzione ai livelli manageriali, anche alla luce di un confronto con l'Europa e dell'evoluzione registrata a seguito della pandemia Covid, la quale sta mettendo in pericolo le conquiste conseguite negli ultimi decenni sulle asimmetrie lavorative di genere. Tra il 1977 e il 2018, ricorda lo studio, «in Italia il tasso di occupazione femminile è aumentato di 16 punti percentuali (dal 33,5 al 49,5)». «L'Italia ha progredito verso la parità di genere - spiega - a un ritmo più sostenuto rispetto a molti Stati membri ma è ancora al 14° posto e, se si osserva la velocità di progressione degli indicatori, bisogna constatare che di questo passo occorreranno più̀ di 60 anni per conseguire la piena parità di genere».

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«Guardando poi al tasso di occupazione equivalente a tempo pieno, troviamo l'Italia all'ultimo posto della graduatoria europea con un punteggio pari a 31, contro il 59 della Svezia e il 41 della media europea». E nel nostro Paese, sottolinea ancora lo studio, «permangono problematiche locali e culturali». «Nel 2018 - sottolinea - aveva un'occupazione solo il 32% delle donne meridionali contro il 60% delle donne del Nord. Esiste inoltre un fenomeno di 'segregazionè, nell'istruzione e nel lavoro, che rende più complessa per le donne la possibilità di cambiare ambito lavorativo.

L'Eurobarometro rileva che la promozione dell'uguaglianza di genere è fondamentale soltanto per circa un quarto degli italiani, rispetto al 54% a livello europeo, all'84% degli svedesi e al 72% degli spagnoli. Lo studio evidenzia inoltre diverse dimensioni legate al gap retributivo relative ad esempio all'impatto della maternità, dove la perdita reddituale delle donne occupate è del 35% nei due anni che seguono il parto e del 10% negli anni successivi, e alla minore presenza femminile nei settori a maggiore remunerazione, (tecnologia, ingegneria, finanza, ecc.», spiega ancora lo studio.

Per l'indagine «anche i dati sulla digitalizzazione nel mondo del lavoro penalizzano le donne italiane e collocano il Paese in fondo alla classifica europea». «Nel 2019 - avverte - soltanto il 10% delle donne ha effettuato una formazione per migliorare le proprie competenze digitali, contro il 18% della media Ue. La percentuale di italiani con competenze digitali che vanno oltre quelle di base è del 19% per le donne e 25% per gli uomini (Ue 31% per le donne e 36% per gli uomini).

Il ritardo è particolarmente evidente nell'area della leadership femminile. Nel nostro Paese appena il 18% delle posizioni regolate da un contratto da dirigente sono occupate da donne, una percentuale che negli ultimi 10 anni è cresciuta di appena lo 0,3%, rimanendo quindi sostanzialmente invariata. A ciò si aggiunge il fatto che è proprio nei ruoli manageriali che emergono le maggiori differenze di retribuzione di genere», spiega ancora la ricerca. Per lo studio presentato oggi, «anche le recenti innovazioni normative mostrano luci ed ombre». «L'analisi sugli effetti della legge Golfo-Mosca sulla parità̀ di genere nei Cda delle società quotate e delle controllate pubbliche - osserva - dimostra che la norma è stata ampiamente applicata e ha determinato un notevole incremento del numero di donne che siedono nei board. Tuttavia, solo una esigua minoranza di imprese ha affidato a donne le posizioni apicali all'interno del Cda, ad o presidente, o ruoli ad elevata responsabilità̀ e remunerazione».

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E anche la pandemia sta influendo sulla condizione delle donne. «Oggi l'emergenza sanitaria da Covid-19 sta svolgendo la funzione di un potente 'acceleratore di processì, portando le imprese ad affrontare trasformazioni, spesso radicali, che coinvolgono i modelli di business, i processi d'innovazione e la transizione verso modelli più̀ sostenibili di produzione. La pandemia ha aperto uno scenario di grandissimi rischi ma anche di opportunità. Tra i primi, quello della fuoriuscita dal mercato del lavoro che per le donne è di 1,8 volte maggiore rispetto alla controparte maschile, anche a causa della difficoltà di conciliare i carichi lavorativi e familiari. Tra le seconde quello della possibilità di dare un forte impulso alla valorizzazione dei talenti femminili», spiega ancora la ricerca.

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