Per le italiane investire denaro è ancora un affare da uomini

Per le italiane investire denaro è ancora un affare da uomini
di Franca Giansoldati
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Sabato 30 Aprile 2022, 09:58

Il denaro per le italiane sembra ancora essere una cosa da uomini. Investimenti, gestione dei propri risparmi, valutazione su dove allocare le risorse familiari, decidere se accendere mutui, controllare le rendite: nella percezione generale queste attività sono destinate a rimanere in una area di stretta pertinenza maschile.
LA TENDENZA
E così la dimensione legata ai quattrini continua ad essere saldamente in mano al capo famiglia, considerato detentore di maggiori conoscenze su come far fruttare i soldi. Le donne, naturalmente, si collocano in un angolo, ingabbiate negli stereotipi tradizionali e certamente non incidono come dovrebbero nella dinamica degli investimenti finanziari.
La tendenza è stata ben fotografata grazie a una ricerca nazionale sviluppatasi in varie fasi, nell'arco di un anno solare, su un campione rappresentativo di 2000 persone. Il quadro che è emerso è disarmante: nel nostro paese quasi una donna su tre non ha una propria fonte di reddito, valuta insufficienti le proprie conoscenze in ambito finanziario e si comporta come è sempre stato: quando bisogna fare un investimento valgono più le indicazioni dei propri mariti, padri, fratelli, compagni piuttosto che una valutazione propria o professionisti consolidati del settore.
Lo studio intitolato Donne e Denaro: una sfida per l'inclusione, è stato promosso da Banca Widiba in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell'Università Cattolica dimostra quanto i comportamenti femminili continuino ad essere stereotipati: le donne, non sentendosi preparate ad investire preferiscono mantenersi distanti dai mercati finanziari e nemmeno cercano informazioni utili per aumentare la propria competenza. Una sorta di apatia di fondo. Andando più in profondità si scopre poi che i comportamenti delle donne nel controllo del denaro sono influenzati dalle preoccupazioni verso il futuro, dalla ricerca di sicurezza, dalla maggiore previsione delle spese, dal ricorso a strategie di auto-regolazione.
LA RICERCA
«In questa ricerca c'è lo spaccato dell'Italia. Le donne intervistate hanno una età dai 27 ai 55 anni, sono rappresentative per studi, classi sociali, aree geografiche» spiega Claudia Manzi, docente di Psicologia Sociale e responsabile scientifica del progetto, presentato alcuni giorni fa da Antonella Sciarrone Alibrandi, pro-rettrice dell'ateneo e da Marco Marazia, direttore di Banca Widiba. «Ci siamo concentrati sulla fascia adulta, relativa a donne che potevano avere un loro reddito, tralasciando dunque le Millennial o le ragazze che appartengono alla generazione Y. La cosa interessante è che nei risultati finali non abbiamo riscontrato grandi differenze per età».
Si tratta di un problema, dunque, trasversale che accomuna persino donne con studi economici alle spalle. Anche loro marginali alle decisioni finanziarie. Per ovviare questo gap, secondo Manzi, è necessario che le banche ripensino al modo proprio di comunicare, usando un linguaggio più accessibile per incidere su quei fattori culturali che attualmente tengono ai margini le donne dal mondo della finanza. «Non mi piace dare delle etichette, sono una accademica, ma non direi che si tratta di cultura patriarcale tout-court, semmai i fattori culturali sono diversi. Le donne sono limitate per via degli stereotipi. Se le banche modificassero il proprio linguaggio le donne forse si avvicinerebbero di più».
 

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