Quote rosa, la legge italiana un modello per la Ue. Marina Brogi: «Misure soft poco incisive»

Quote rosa, la legge italiana un modello per la Ue. Marina Brogi: «Misure soft poco incisive»
di Maria Lombardi
5 Minuti di Lettura
Sabato 3 Giugno 2023, 16:29 - Ultimo aggiornamento: 16:36

«Mia figlia Isabella non sapeva ancora leggere e un giorno mi disse: mamma, perché sui giornali che guardi ci sono solo uomini? Era proprio così, agli inizi degli anni Duemila gli ambienti accreditati erano prevalentemente maschili. Quella frase mi fece riflettere». Marina Brogi, professore ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari alla Sapienza di Roma, ha più volte raccontato questo episodio per sottolineare come anche a una bimba, al tempo, non potesse sfuggire lo squilibrio. Una riflessione che ha rafforzato il suo impegno di studiosa per far crescere lo spazio delle donne nei ruoli importanti e dunque anche nei titoli di economia e politica dei quotidiani, e per promuovere la legge sulle cosiddette "quote rosa". Una missione, quasi, che ha portato avanti negli anni fino all'ultimo appuntamento, l'altro giorno a Palazzo San Macuto, a Roma: l'incontro di studio su "Corporate Governance: Diversity", promosso insieme all'onorevole Cristina Rossello di Forza Italia. "Ospite" d'onore, Morten Huse, professore emerito BI Norvergian Business School, lo studioso che dagli anni 90 si occupa della presenza delle donne nei cda e che con le sue ricerche ha ispirato la legge sulle quote relative al genere meno rappresentato in Norvegia e in altri Paesi, tra cui l'Italia. Una ricerca, la sua, che ha cambiato la società.

IL PRIMATO

«Una delle sfide per i ricercatori è occuparsi di temi realmente rilevanti e poi di riuscire a veicolare efficacemente i risultati per modificare il quadro normativo e le prassi aziendali», sostiene la professoressa Brogi. «L'Italia è stata tra i primi Paesi ad introdurre la legge che fissava delle quote per il genere meno rappresentato», la legge Golfo-Mosca, entrata in vigore nel 2012 e prorogata nel 2019. «Le misure di soft law adottate in altri Paesi della Ue sono risultate meno incisive - aggiunge la docente - e il numero di donne nei posti apicali è inferiore. Per questo motivo l'UE ha annunciato che varerà una legge simile a quella italiana. Occorre rompere il soffitto di cristallo e consentire alle giovani di avere dei role model femminili in posizioni apicali».
Ancora troppe poche donne nei ruoli di comando, ha rilevato la Commissione Europea lo scorso novembre: meno di un terzo dei componenti dei consigli di amministrazione delle società più grandi sono donne, sebbene queste ultime rappresentino il 60% dei laureati. Ed è per questo che la UE sta introducendo nuove regole: l'obiettivo per le grandi società quotate è raggiungere il 40% di amministratori del genere meno rappresentato entro giugno 2026. L'Italia con la legge Golfo-Mosca ha già raggiunto il target.
Come sono cambiati i board con più donne? «Gli studi ci dicono che la presenza femminile ha influito sulle strategie d'impresa», riflette il professor Morten, autore del libro "Diversity and Corporate Governance" con Sabina Tasheva, oltre a rappresentare un'utilità e un traguardo in termini di uguaglianza e giustizia. «Le quote sono uno degli strumenti, serve un mix di strumenti. Diversity non è solo avere più donne nei board», anche il concetto di diversità è in evoluzione. «Dobbiamo pensare a cosa è meglio per l'individuo, cosa è meglio per la società e cosa è meglio per il business. Ma soprattutto per la società».

I RISULTATI

E senza dubbio le quote hanno funzionato, da tutti i punti di vista. «In Italia il coerente equilibrio di genere ha avuto maggiore efficacia nell'azione di governo delle imprese, con risultati migliori in termini di "esg" (l'acronimo che sta per ambiente, sostenibilità sociale e governance, ndr», riflette il professor Alberto Pastore, direttore del dipartimento di Management alla Sapienza. «La società italiana di Management, con l'ultimo rinnovo, ha un consiglio direttivo composto da 15 membri, di cui 11 donne».
Al momento gli 8 Stati della Ue dove sono state introdotte le quote hanno una media del 38% di donne nei board (la Francia è al 45,6 e l'Italia al 42,6). I Paesi con misure soft sono al 31 e quelli che hanno adottato alcun provvedimento sono al 17,5. «La legge italiana è stata studiata all'estero, la professoressa Brogi e l'onorevole Rossello sono state invitate in California a parlarne», ricorda Donatella Strangio, professore ordinario di Storia economica alla Sapienza, intervenendo al panel presieduto da Marina Brogi.

LE IMPRESE

Ma i numeri cambiano quando di parla di ad. «Le società quotate con amministratore delegato donna sono appena 17 su 414», Maria Laura Garofalo, Cavaliere del lavoro e ad della Garofalo Health Care. «Il fatto è che nel 2011 erano 13 e in questi anni sono aumentare solo di 4 unità. Nel nostro gruppo si dovrà parlare di quote azzurre piuttosto che di quote rosa: degli 11 membri del cda, 6 sono donne. E tra i dipendenti sono il 78 per cento».
Si parla tanto di quote rosa, ma ancora poco di imprenditorialità femminile, sottolinea Francesco Perrini, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese, Associate Dean for Sustainability di SDA Bocconi. «Nella fascia intermedia delle quotande, il 20 per cento delle imprese sono di proprietà di donne. Sono caratterizzate da una gestione più prudente e in crescita. Con la diversity si ha una migliore performance e governance».
Guido Ottolenghi, ad della PIR, ricorda la discussione sulla legge Golfo-Mosca, «e le mie perplessità. Con il senno di poi è stata un'ottima iniziativa. Le aziende familiari tendono a favorire la diversità più delle grandi aziende, hanno un forte incentivo a valorizzare i talenti e soprattutto quelli femminili». L'appello conclusivo dell'onorevole Rossello: «Diventiamo il cambiamento che vorremmo vedere».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA