Tokyo non risarcisce le schiave coreane stuprate dai soldati giapponesi durante l'occupazione

Tokyo non risarcisce le schiave coreane stuprate dai soldati giapponesi durante l'occupazione
di Franca Giansoldati
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Venerdì 8 Gennaio 2021, 10:02 - Ultimo aggiornamento: 16:52

Giappone e Corea del Sud sono di nuovo ai ferri corti per il mancato riconoscimento delle cosiddette 'Donne di Conforto', schiave del sesso stuprate sistematicamente dalle truppe giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale e obbligate a dare 'conforto' ai soldati. Un contenzioso legale che si trascina irrisolto e che riguarda un numero imprecisato di vittime, secondo alcuni ricercatori sarebbero almeno 200 mila, secondo altri storici non più di 20 mila. 

Un tribunale sudcoreano, con una sentenza storica, ha appena ordinato al Giappone di risarcire le prime 12 donne sudcoreane. La sentenza è destinata a creare un precedente ed aprire una breccia. Il Giappone ha immediatamente protestato sostenendo che tutte le questioni relative ai risarcimenti in tempo di guerra sono già state risolte con un trattato del 1965  con il quale sono stati normalizzati i rapporti diplomatici. Inoltre nel 2015 Tokyo ha formalmente chiesto scusa alla Corea del Sud, escludendo ogni forma di risarcimento.

Il tribunale del distretto centrale di Seoul ha, invece, stabilito che il governo giapponese è chiamato a risarcire con 91.360 dollari ciascuna delle 12 vittime che hanno fatto causa. Si tratta della prima sentenza di questo tipo. La corte coreana ha spiegato che si è trattato di «un crimine contro l'umanità» avvenuto quando il Giappone ha occupato illegalmente» la penisola coreana dal 1910 al 1945. Il tribunale ha aggiunto che le donne sono state vittime di violenze inenarrabili da parte delle truppe giapponesi, causando loro danni fisici, malattie veneree, gravidanze indesiderate e lasciando anche "grandi cicatrici mentali" nella vita di queste donne. 

In passato altre controversie bilaterali tra i due paesi sono sfociate in una sentenza del 2018 (della Corte suprema della Corea del Sud) che ha chiaato le aziende giapponesi ad offrire un risarcimento agli ormai anziani querelanti sudcoreani per i loro lavori forzati in tempo di guerra. La controversia è però degenerata in una guerra commerciale che si è poi estesa a questioni militari quando Seoul ha minacciato di porre fine a un accordo di condivisione dell'intelligence militare con Tokyo.

Da documenti ufficiali dell'epoca della occupazione giapponese nella penisola coreana viene descritto come funzionavano le cosiddette “comfort station”, luoghi sicuri in cui «donne volontariamente arruolatesi avrebbero potuto fornire conforto ai soldati». Nei documenti si parla di conforto, di volontarietà, di protezione. Ma la vita delle ragazze rapite con l'inganno o la forza dalle proprie famiglie e dai villaggi coincideva poi con l'inferno. Moltissime di loro morirono per le infezioni e le ferite riportate. La loro prigione era costituita da piccole costruzioni in legno, due metri per tre, usate dai soldati giapponesi per i rapporti sessuali. Le ragazze venivano quotidianamente violentate a ripetizione dalla lunga fila di soldati che sostava fuori, in coda, in attesa del proprio turno per essere “confortati”. Recentemente l'Onu ha incluso lo stupro di massa in tempo di guerra tra i crimini contro l'umanità.

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