Gabriella Palmieri Sandulli, la prima giudice del Coni:«Più parità nello sport»

Gabriella Palmieri Sandulli, la prima giudice del Coni:«Più parità nello sport»
di Franca Giansoldati
4 Minuti di Lettura
Sabato 22 Gennaio 2022, 21:39

Nominata all'unanimità dalla Giunta del Coni, la giurista napoletana Gabriella Palmieri Sandulli, 64 anni, sposata e con una figlia grande, è la prima donna a prendere in mano le redini del massimo organo giuridico dello sport italiano. Nell'agosto del 2019 aveva però già bruciato un altro traguardo: prima donna italiana ad arrivare ai vertici dell'Avvocatura dello Stato.


In poco tempo ha sbriciolato due soffitti di cristallo. Come vuole essere chiamata, avvocato o avvocata?
«Sono avvocato e non avvocatessa. Magistrato e non magistrata. La penso come Beatrice Venezi, direttore d'orchestra, che ha spiegato di non voler essere declinata al femminile poiché il titolo non ha alcuna importanza».


Il linguaggio non è uno specchio della realtà circostante che tende a discriminare le donne?
«Faccio l'avvocato, non mi sento lesa se non vengo chiamata avvocatessa. Non mi piacerebbe fosse sottolineata la mia differenza rispetto a un uomo che fa il mio stesso mestiere solo dal titolo. E poi anche all'estero si dice Signora Presidente, Signora Ministro».


Prima del Collegio di Garanzia del Coni ha raggiunto i vertici anche a capo dell'Avvocatura dello Stato, una bella soddisfazione...
«Al Consiglio di Stato ci si arriva per anzianità, non c'era mai stato un avvocato generale donna. Io sono stata fortunata e così mi hanno nominata».


Fortuna?
«No scherzo (ride) bisogna lavorare».


In genere alle donne viene richiesto un lavoro doppio. È capitato anche a lei?
«Sicuramente anche io ho dovuto fare molto di più dei miei colleghi: per esempio stare attenta a non fare errori, essere maggiormente concentrata sulle questioni. Non che vi fossero preconcetti, semplicemente si guardava a quello che facevo e forse mi sentivo più condizionata. Tuttavia a capo della Avvocatura, in questi due anni e mezzo, non ho mai avvertito difficoltà anche perché ero in quella struttura da 40 anni e, in passato, avevo ricoperto anche il ruolo di segretario generale. Ho sempre avuto la massima collaborazione di tutti. Nessuna resistenza all'interno per il mio essere donna. La discriminazione in Avvocatura non esiste. Avendo una grande quantità di lavoro da svolgere si valutano le capacità, non ci sono sacche di ineguaglianza».


E per il Coni come è andata?
«Facevo già parte del Collegio di garanzia: ero vice presidente della seconda sezione. Conosco bene la materia sportiva. Ero anche nel tribunale nazionale di arbitrato dello sport».


Se in Avvocatura non ci sono discriminazioni nel modo sportivo però abbondano...
«Considero questo un problema in via di assestamento. Da un punto di vista normativo le discriminazioni non sono contemplate, non c'è modo di escludere qualcuno. Nello sport però contano i risultati. Se si vince è irrilevante essere maschio o femmina. Semmai il nodo è un altro. Lo sport è un mondo governato quasi solo da uomini: gli agenti sportivi sono quasi tutti maschi, i giudici sportivi idem, almeno fino a quando non si è iniziato a disciplinare meglio questo settore mediante il Collegio di garanzia che ha modalità di reclutamento dei giudici. Così la situazione si va evolvendo. Persino il cliché che lo sport nell'immaginario sia un mondo fondamentalmente maschile si sta superando».


Strada da percorrere ce n'è ancora?
«Ovvio ma noi stiamo facendo un buon cammino, tappa dopo tappa, e nel Coni c'è molta attenzione alla partecipazione femminile. La Pellegrini, per esempio, è stata designata al Cio ma potrei fare altri esempi eccellenti. Se esiste la possibilità - a parità di competenze e meriti si incoraggia la componente femminile».


Resta la discriminazione economica...
«Quello è lo scoglio più duro. Nella pubblica amministrazione questo gap non c'è. Le donne guadagnano come un uomo, ma in una società privata spesso non accade. Il calcio professionistico maschile è pagato in modo diverso, anche perché vi è la questione degli sponsor. Tuttavia bisogna affrontare e risolvere il gender pay gap. Il divario c'è ed è oggettivo».


Tempo fa ha fatto discutere la storia di Lara Lugli, giocatrice del Volley Pordenone, in causa con la sua società dopo la rescissione del contratto perché aspettava un bambino. Che ne pensa?
«Il caso lo conosco. Purtroppo in alcuni settori è più facile far coincidere il lavoro con la famiglia. Ma è un gap da superare, bisogna rendere più facile alle atlete la possibilità di avere figli, facendo in modo che non diventi un fattore escludente. Durante la pandemia è venuto anche fuori il problema di chi assiste persone disabili. Non si deve scegliere tra carriera e famiglia, non è giusto».


E lei come è riuscita a conciliare tutto?
«Non è stato facile ma mi sono organizzata. Cercavo sempre punti di equilibrio ma non mi sono persa una recita di mia figlia quando era piccola».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA