In Cassazione il caso della bimba che il padre biologico non voleva far nascere e ora le impone il suo cognome

In Cassazione il caso della bimba che il padre biologico non voleva far nascere e ora le impone il suo cognome
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 4 Maggio 2022, 16:14 - Ultimo aggiornamento: 17:44

Una giovane donna sei anni fa a messo al mondo una bambina, contro il volere del padre biologico che a tutti costi voleva che abortisse. La bambina nasce e viene cresciuta dalla mamma ma nel frattempo il padre biologico, dopo diverso tempo, chiede il riconoscimento della bambina. Ma ancora prima che questo avvenga, una prima Ctu diagnostica un conflitto di lealtà con la mamma che viene definita dal tribunale dei minori “ostativa”. E' di nuovo l'applicazione della Pas – la sindrome di alienazione parentale messa al bando dall'Europa ma ancora applicata in tanti tribunali italiani - a mettere in pericolo l'equilibrio psicologico di una bambina visto che da quel momento il padre biologico inizia una battaglia legale senza quartiere contro la mamma, nel frattempo minacciata (come dimostrano le carte che ha in mano la Commissione Femminicidio, pur di portarle via la figlia). 

Per mamma e figlia è un film dell'orrore. «Ora abbiamo paura, terrore di un prelevamento e della casa famiglia. Mia figlia è molto piccola, ha 6 anni, e viviamo in uno stato di allerta continuo, con stati d'ansia. Per quanto io, insieme ai miei genitori, cerchiamo di proteggerla, ma questa è l’atmosfera in cui la bambina è costretta a vivere». È davvero spaventata mamma Frida mentre sintetizza la sua assurda vicenda giudiziaria arrivata in Cassazione in questi giorni con il ricorso presentato dall’avvocato Girolamo Andrea Coffari sull’eccezione di costituzionalità dell’articolo 250, III e IV comma, relativo al riconoscimento dei figli, che recita: «Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento». 

Così come è oggi l’articolo di legge 250, spiega il legale, violerebbe gli articoli 2, 3, 24 e 32 della Costituzione perché darebbe al giudice la facoltà di esprimersi e sovrastare la volontà della mamma e l’interesse del minore qualora la mamma che ha fatto nascere il bambino e l’ha cresciuto dovesse opporsi perché il padre non si è assunto alcuna responsabilità o, come nel caso di Frida, ha chiesto in tutti i modi l’aborto sparendo durante tutta la gravidanza e non vedendo sua figlia una volta nata.

Il Tribunale di Venezia – uno dei tribunali in cui viene maggiormente applicata la Pas - si è espresso in appello imponendo il riconoscimento da parte del padre, ma poiché la sentenza non è ancora passata in giudicato ed è stata impugnata in Cassazione, il cognome paterno non è ancora stato postposto a quello materno sui documenti della minore a partire dal certificato di nascita. 

È stato l’uomo a comunicare la sentenza del Tribunale di Venezia ai servizi sociali e all’Ufficio di stato civile anche se non avevano ricevuto alcun mandato dal Tribunale - ha aggiunto mamma Frida- «che con la diffida l’Ufficio di Stato civile ha ripristinato il certificato di nascita iniziale con il solo cognome materno, mentre i servizi sociali ritengono di non aver bisogno del mandato del tribunale per l'applicazione del cognome paterno». Il caos anagrafico.

In pratica l’Ufficio di stato civile di Venezia ha fermato l’aggiunta del secondo cognome, quello del padre, proprio perché la sentenza era stata impugnata dalla mamma e quindi non era passata in giudicato. 

Nel frattempo i servizi sociali hanno già proposto un piano di avvicinamento obbligato con il padre biologico imponendo alla vita della bambina una bigenitorialità a tutti i costi. La bambina è spaventata e mostra oggettivo malessere, diagnosticato anche dai medici, non sapendo nemmeno chi sia il padre biologico.

«Il paradosso della nostra storia – racconta la madre - è che dobbiamo parlare di bigenitorialità al cospetto di un uomo che non voleva questa bambina e che non l’ha riconosciuta quando è nata. La nostra non è nemmeno una storia di bigenitorialità, la problematica qui è il riconoscimento e ci siamo trovati a fare la stessa trafila di una coppia che si è separata e di un procedimento di affido come se ci fossero due genitori, ma qui sin dalla prima Ctu ci sono sempre stata io e nessuna coppia di genitori».

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