Beatrice Cenci, le torture, il testamento, un bimbo misterioso: in un libro tutti i documenti "segreti"

Nella foto, il ritratto di Beatrice Cenci esposto a Palazzo Barberini
di Laura Larcan
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Martedì 16 Novembre 2021, 19:45 - Ultimo aggiornamento: 17 Novembre, 17:16

La confessione estorta con la tortura, il testamento che dispone 300 scudi per il sostentamento di un misterioso «povero fanciullo pupillo», il menu dettagliato (con tanto di nota spesa a carico della sua famiglia) del pasto consumato in prigione prima dell’esecuzione. Tutta la verità, vi prego, su Beatrice Cenci, personaggio storico della Roma papalina ammantato di mito (se non di leggenda, visto che ancora si parla del suo fantasma a Castel Sant’Angelo). Celebrata da una fitta letteratura e arte (come il ritratto attribuito a Guido Reni) per la sua tragica vicenda, finita sul patibolo nel settembre del 1599 per volontà di papa Clemente VIII. Tanto famosa, quanto offuscata da capitoli oscuri. Ci pensa un libro ora a fare luce, “Perchè io non voglio star più a questa vita. La voce di Beatrice Cenci dai documenti conservati negli archivi romani” di Alessandra Masu (Ginevra Bentivoglio Editoria). E' l’Archivio di Stato di Roma ad ospitarne la presentazione.

«La novità del libro - spiega l’autrice - sta nel rendere disponibile per la prima volta al grande pubblico tutte le fonti della vicenda in forma integrale, fornendo il contesto in cui sono state prodotte e tramandate in modo puntuale e critico». Nel libro, infatti, si possono leggere le deposizioni integrali di Beatrice e di tutti gli indagati e testimoni, fino al suo testamento e persino la nota di spesa di cosa mangiò in carcere nei giorni prima dell’esecuzione.

Alla luce di tante pagine di documenti storici, Beatrice Cenci è vittima o femme fatale? «Mi verrebbe di dire d’impulso: nè l’una nè l’altra - riflette Alessandra Masu - In realtà tutte e due, ma anche molto di più. Vittima, sicuramente, di gravi abusi in famiglia e vittima di una giustizia ingiusta. Non solo perchè era la giustizia d’Ancien Régime di un sistema socio-politico predemocratico, dove il papa era anche re e non erano ancora risolti gli scontri feudali tra il papa e la nobiltà. Ma perchè era ingiusta un’intera società in cui le donne restavano legalmente minori tutta la vita e avevano solo un’alternativa: diventare mogli e madri o entrare in convento. In definitiva, come dice lei stessa nella confessione del 10/11 agosto 1599, Beatrice voleva che il padre morisse sia per essere liberata dal castello della Petrella, dove era stata segregata insieme alla matrigna per quasi due anni per ordine del padre, che per punire il padre che, negandole la dote, le negava un futuro di moglie e madre consono al suo status».

Quali sono allora le informazioni più nuove, poco note al grande pubblico, anche sorprendenti, che il lettore può scoprire dal suo libro? «Per esempio - dice la scrittrice - la Nota del cibo servito a Beatrice Cenci in carcere negli ultimi giorni prima dell’esecuzione, nel settembre 1599. La nota è sopravvissuta in quanto si trattava di spese che andavano addebitate alla famiglia dei condannati. Fa venire i brividi tenere in mano questo libriccino di pergamena e leggere appunto il menu del suo ultimo pasto». Si legge nel libro: «Adì 10 detto (settembre) Cena pescie, baiocchi 45; tarantello b 15; chiarello b 16, frutti e neve b 10, ove nel tecame b 10; pane e insalata b 5; candele b 3...».

Le carte, nel libro, restituiscono i momenti più tragici e commoventi: «Sono le confessioni, tutte estorte con la tortura, sia di uno dei sicari, Marzio Catalano, che morì in carcere, sia quelle di Beatrice e della matrigna, Lucrezia Petroni, nell’agosto 1599», spiega Alessandra Masu. Tante le sorprese che si scoprono dal suo testamento. «Beatrice detta le sue ultime volontà al notaio Jacobelli, nel carcere di Corte Savella, il 27 agosto, quando ancora sperava nella grazia. Il giorno dopo aggiunge un codicillo. E l’8 settembre un secondo codicillo, affidato al suo confessore, nel quale lascia a tale “madonna Caterina de Santis”, vedova e convivente della signora Margherita Sarrocchi, una sostanziosa somma per la cura di un bambino, che non viene nominato. Purtroppo non sappiamo di chi era figlio e che cosa ne sia stato di questo bambino. Sono convinta però che troveremo delle risposte approfondendo la questione dei legami tra Beatrice e la poetessa-filosofa Sarrocchi. Un rapporto di fiducia nato - credo - in casa Colonna e così profondo che Beatrice le affidò ciò che aveva di più caro, quando fu certa di morire». Un misterioso bambino che potrebbe essere stato anche suo figlio. Una delle ipotesi.

Secondo Alessandra Masu, Beatrice Cenci poteva essere salvata? «La verità è che Beatrice non aveva scelta: non poteva denunciare il padre - e dunque essere scagionata - senza gettare onta sul suo stesso nome e di fatto azzerare le proprie possibilità di contrarre un matrimonio conveniente. Pur con la compassione dovuta a una ventenne vittima di abusi e del sistema giudiziario dell’Ancien Régime, bisogna riconoscere che Beatrice Cenci ha commesso due errori: pensare che i nobili Cenci avessero il diritto di farsi giustizia da soli - ponendosi al di sopra della legge - e, in mancanza di precedenti (mai donna aristocratica era stata giustiziata, né lo fu dopo Beatrice e Lucrezia), dare per scontata la grazia. Beatrice ha giocato una tragica scommessa col destino. E ha perso tutto».

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