Elle McNicoll: «Io, scrittrice neurodivergente, nel mio libro racconto cosa vuol dire essere autistica»

Elle McNicoll
di Valentina Venturi
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Venerdì 1 Aprile 2022, 20:36 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 17:17

Elle McNicoll è una romanziera. Dopo il pluripremiato “Una specie di scintilla”, ha di recente pubblicato un nuovo romanzo dal titolo emblematico “Mostraci chi sei”. Edito da Uovonero, casa editrice di libri inclusivi, ad alta leggibilità, che promuovono una cultura della diversità e si propongono di rendere la lettura un diritto di tutti, “Mostraci chi sei” ha per protagonista una ragazza autistica alle prese con un’ambigua società che usa l’intelligenza artificiale in modo sinistro. In esclusiva per Il Messaggero McNicoll, con una disabilità legata al neurosviluppo, racconta il suo percorso personale e l'impegno professionale, anche alla luce della “Giornata Mondiale della Consapevolezza dell'Autismo” del 2 aprile.  

Da dove nasce la sua scintilla creativa? 

«Credo sia un bisogno profondo di comunicare. Gran parte della mia vita, o perlomeno della mia infanzia, è stata un collage di situazioni in cui venivo puntualmente fraintesa. È difficile far capire alle persone quanto sia estenuante e avvilente, quando ti è successo più di una volta al giorno da quando hai cominciato a parlare. In alcune circostanze era sicuramente colpa mia, ma per la maggior parte non venivo compresa entro le regole della comunicazione neurotipica – regole che le persone neurodivergenti non seguono o non vi hanno accesso. Perciò scrivere è diventata una specie di forma di correzione. Di mettere in ordine la mia immaginazione. E poi, mi piacciono le storie. Mi piacciono le persone e di conseguenza i personaggi, e mi piacciono le relazioni. I miei libri si focalizzano sempre sui sentimenti e su come le relazioni tra le persone hanno alti e bassi. C’è molta osservazione racchiusa nella narrazione. Suppongo che ogni libro abbia un’eroina che cerca di dare un senso alle altre persone». 

Cosa significa essere un’autrice “neurodivergente”? 

«Significa che sei un’autrice che ha una disabilità legata al neurosviluppo. Per esempio, autismo, difficoltà di apprendimento, ADHD e così via. Io sono innanzitutto una scrittrice e sono felice di parlare della mia neurodivergenza insieme al mio lavoro, allo stesso modo in cui sono felice di parlare del mio essere donna o scozzese. Ma alle persone piace presentarmi come un’autrice neurodivergente. Non sono sempre certa del perché».  

Come eliminare gli stereotipi legati all’autismo? 

«Esposizione. Sono anche una grande sostenitrice dello “Show, don’t tell” (“Non raccontare, mostra”). Da cui il titolo del libro. In “Mostraci chi sei”, voglio mostrare come i protagonisti Cora e Adrien siano persone a tutto tondo, che sfidano aspettative e stereotipi. Non limitarmi a raccontarlo al lettore. Cora è empatica, emotiva e premurosa. Ha solo qualche difficoltà a esprimersi. Metto molto della mia vita nei limiti del personaggio per restare autentica. Credo che esporre i lettori a una moltitudine di personaggi differenti, con ciascuno di loro che affronta la stessa diagnosi in modi differenti, è la forma migliore per mostrare invece di narrare che questa condizione è condivisa da un gruppo di persone diverse». 

Pensa che essere una donna amplifichi le difficoltà dell’avere successo nel mondo letterario? 

«Non più che in altri settori, ma credo che le donne marginalizzate possano incontrare molte avversità in ambienti che spesso sono strutturalmente problematici.

Nel Regno Unito, le donne nere e di colore non sono pagate né ricevono promozioni al pari delle loro colleghe bianche, nonostante le performance di livello pari o superiore dei gradini più alti del personale sembra siano svolte da uomini, nonostante una grande percentuale del corpo di lavoro sia costituito da donne. Se si tratta di un’autrice, soprattutto un’autrice di libri per ragazzi, credo che le donne debbano lavorare più degli uomini. Io mi accorgo che agli autori vengono fatte molte domande sul loro metodo o sulle loro idee, mentre a me viene chiesto di spiegare quali siano gli aspetti negativi della mia disabilità o di rispondere a domande che non hanno a che vedere con la scrittura». 

Perché ha scelto la narrativa per ragazzi? 

«Credo che si rivolga a giovani sensibili e curiosi, pur esercitando una forza attrattiva su un pubblico adulto. A me piace leggere libri per bambini e young adult, oltre ai titoli che sono rivolti agli adulti, quindi sono felice che i miei libri si trovino in quella categoria. Ritengo che la narrativa per adulti si preoccupi troppo di tagliar fuori il resto del mondo. Di essere egocentrica. Di dire: “Non ho bisogno di te, né di nessun altro”. La narrativa per ragazzi ha una mente più aperta. Dà il permesso alle persone di essere curiose. Di pensare agli altri. E, più di ogni altra cosa, di esplorare i sentimenti senza incontrare snobismo».  

Può sempre mostrarsi per come è? 

«No, non sempre. Non sono coraggiosa come Cora in “Mostraci chi sei”. Nascondo molto di me e, a volte, mi sento come se stessi continuamente cercando di passare una sorta di test della rispettabilità. Voglio sempre apparire affabile e affidabile. Cora, nel libro, impara a non curarsene. Vorrei poter essere più come lei e Adrien».  

Ci sono differenze tra uomini e donne neurodivergenti? 

«Be’, anche il mio compagno è neurodivergente. A lui piace il tonno, a me no». 

Che consigli darebbe la Elle di oggi alla Elle bambina? 

«Preoccupati meno delle piccole cose e di più delle cose più grandi. Difendi prima gli altri e poi te stessa. Se mostri che te la sei presa, hanno vinto loro, quindi sii intelligente, non acida. E sei solo in competizione con te stessa. Suppongo che tutti i miei libri siano in qualche modo delle lettere a una me più giovane. Vorrei che sapesse che il segreto che tiene stretto è in realtà la chiave per avere una vita migliore, più felice. Non è qualcosa di brutto o di cui vergognarsi. È naturale. E a cui è importante dar voce».  

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