Emanuela, la biologa romana che si è trasferita in Amazzonia per salvare il polmone verde dal disboscamento

Foto Raffaello Pellizon
di Maria Lombardi
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Sabato 10 Giugno 2023, 10:33 - Ultimo aggiornamento: 17:51

«Qui sono le 10 del mattino, è nuvoloso. Mi trovo nella mia casa, una palafitta coperta da un tetto di foglie di palma, in un villaggio dove vivono 15 famiglie. Di fronte a noi c'è il fiume Jauaperi, uno dei tanti affluenti del Rio delle Amazzoni, grande poco più del Tevere, alle nostre spalle c'è la foresta pluviale. Siamo lontanissimi da ogni fonte di rumore che non sia naturale». La città più vicina? «A 400 chilometri e non ci sono strade. La prima struttura sanitaria è a sette ore di navigazione». Emanuela Evangelista, biologa romana, classe 1968, presidente di "Amazônia Onlus", nominata dal presidente Mattarella Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, vive da 23 anni laggiù, nel cuore della foresta. E lotta per salvarla.

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Cosa rischia l'Amazzonia?
«Rischia di diventare una savana e smettere di produrre piogge. Sta diventando più secca, la mortalità degli alberi è già più alta. Gli studiosi ci dicono che abbiamo 15, al massimo 30 anni per fermare deforestazione e degrado ambientale. Perdere l'Amazzonia vuol dire perdere la guerra contro il riscaldamento globale e minare il futuro dell'umanità. Questo bioma con 400 miliardi di alberi, che produce un quinto dell'acqua degli oceani, controlla gli equilibri del pianeta e li influenza dal punto di vista climatico ed ecologico. Ma ci resta pochissimo tempo per evitare la distruzione».


Cosa sta facendo in questo momento con la sua organizzazione "Amazônia Onlus"?
«Collaboro al progetto pilota "Together we plant the future" per sviluppare corridoi di biodiversità e aiutare le persone che qui vivono. È promosso da Sofidel, un'azienda toscana leader nella carta tissue, e Suzano, il più grande produttore mondiale di polpa di cellulosa. Sul campo, collaborano "Amazônia Onlus" e lo Iabs, l'Istituto brasiliano di sviluppo e sostenibilità. Lo scopo del progetto è quello di restaurare l'habitat naturale, combattere la povertà e favorire l'inclusione sociale».


Quale è la funzione dei corridoi di biodiversità?
«Nella zona dove si svolgerà il progetto ci sono fazzoletti di foresta frammentati da strade e piantagioni. Questo è un problema per gli animali e le piante. Il corridoio che prevediamo servirà a riempire quei buchi, metterà in collegamento pezzi di foresta intatti all'interno di un'area di 2.210 km quadrati tra gli Stati brasiliani di Maranhão e Pará. Ma non si può proteggere la foresta senza intervenire sulla povertà che spinge le persone al bracconaggio o a coltivazioni aggressive. In Amazzonia vivono 47 milioni di persone in aree lontane e differenti, ma unite dalla povertà».

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In che modo si aiuteranno gli abitanti?
«Il progetto promosso da Sofidel e Suzano aiuterà a far uscire dalla soglia di povertà circa 1.400 famiglie di agricoltori offrendo loro opportunità produttive, tipo l'apicoltura e la coltivazione e commercializzazione di specie autoctone come le bacche di açaí e le noci di cocco babassu. Ogni famiglia si vedrà riforestare il proprio terreno in modo produttivo, e al tempo stesso diventerà custode della foresta».
Che ruolo hanno le donne amazzoni nella difesa della foresta?
«Tanti movimenti femminili in questa anni hanno dato un contributo importante nella protezione di questi territori. Le donne sono sempre state in prima linea per l'Amazzonia. E sono decisive nelle scelte quotidiane. Queste popolazioni tendono alla migrazione urbana, ma la città per loro è ostile. Le donne resistono e se vanno via hanno sempre il desiderio di tornare. La foresta ha bisogno di custodi e quindi di loro».
Perché ha scelto di venire a vivere qui?
«La vita fa la scelta e tu semplicemente vivi. Nel 2000 sono venuta come studentessa, coinvolta in un progetto di ricerca sulla lontra gigante a rischio estinzione. Abitando qui l'interesse si è spostato, dalla protezione delle specie e dell'ambiente ho cominciato ad occuparmi delle popolazioni della foresta e della loro primaria esigenza di lotta alla povertà. Mi sono chiesta: quali sono le alternative alla distruzione della foresta che deriva dalla fame e porta al bracconaggio, al narcotraffico e alla deforestazione illegale? La principale ricchezza di queste persone è la conoscenza delle tradizioni che consente loro di vivere qui. Solo dalle popolazioni dell'Amazzonia si può imparare a sopravvivere nella foresta».
È stato difficile per lei riuscirci?
«Per tanti anni ho fatto la pendolare e ho fondato l'organizzazione. Poi mi sono innamorata ed è venuto naturale stabilirmi qui. La vita ha avuto più fantasia di me. Ma non è una vita bucolica, è durissima. Non ci si abitua mai alla mancanza di comfort. I mercati sono lontanissimi, la dieta è povera, non ci sono medici, i centri urbani offrono pochissimo. Ma l'impegno per la foresta è diventato fondamentale. É necessario che se ne parli, che progetti come questi diventino tanti e che il mondo industrializzato prenda consapevolezza dei rischi che corriamo. Abbiamo pochissimo tempo per salvarci».

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