La “scandalosa” figura
di Virginia Agnelli

La “scandalosa” figura di Virginia Agnelli
di Costanzo Costantini
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Mercoledì 9 Marzo 2011, 15:41 - Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 20:14
ROMA - Era stata ritratta da Pietro.Canonica e da Leonor Fini. Lo scultore torinese l’aveva ritratta nel I9I9, l’anno in cui si era sposata, forse proprio in occasione delle nozze. Era un grande onore per una ventenne essere effigiata dal ritrattista più acclamato d’Europa, che veniva chianato dai sovrani e dalle famiglie aristocratiche di mezzo mondo, da Buckingham Palace alla corte di Nicola II, e che era ammirato, oltre che per la raffinatezza del suo stile, per la capacità di cogliere e trasfondere nei suoi ritratti i moti segreti dell’animo, la dimensione interiore e segreta dei vari personaggi.. Diceva: “Scopo dell’artista è quello di studiare il vero nella forma più pura, concentrando in essa il massimo del sentimento”: Con quel ritratto il grande scultore aveva inteso rendere omaggio alla bellezza. Era infatti bellissima Virginia Agnelli, nata a Roma, nel piano nobile di Palazzo Barberini, dall’americana Jane Allen Campbell e dall’aristocratico italiano Carlo Bourbon del Monte, sposata ad Edoardo Agnelli, figlio del senatore Giovanni, il fondatore della Fiat. Quella di Virginia era una bellezza singolare, in quanto strettamente congiunta alla personalità, nonché ad una naturale eleganza formale. Fragile come farfalla e forte come leonessa. Bella e intelligente, bella e coraggiosa, bella e anticonformista. Dal canto suo Leonor Fini ne aveva fatto per un verso una icone preraffaellita e per un altro un’immagine di stampo vagamente surreale. Non si conosce la data del ritratto, ma con ogni probabilità risale alla seconda metà degli anni Trenta, cioè a dopo la scomparsa di Edoardo Agnelli, perito nel I935 in un incidente aereo a quarantatrè anni. Lo si deduce dall’ombra di sottile malinconia che aleggia sul biancore adamantino del suo viso sotto la sontuosa chioma nera e dalla accorata pensosità che traspare dai suoi occhi. A trentacinque anni aveva avuto sette figli: Clara (I92O), Gianni (I92I), Susanna (I922). Maria Sole (I925), Cristiana (I927), Giorgio(I929), Umberto (I934). Ma la numerosa maternità non ne aveva scalfito né il corpo né lo spirito. Era ancora un delle donne più affascinanti e più seducenti d’Italia.





Nel I9I9 Pietro Canonica non si era ancora trasferito dalla nativa Moncalieri a Roma. Era giunto nella capitale nel I922, quando aveva cinquantatrè anni, e nel,I927 aveva ottenuto dal Comune di Roma la palazzina che sorgeva in fondo a Villa Borghese, nella zona di Piazza di Siena, dalla quale aveva ricavato la sua abitazione, il suo studio e il museo che porta ancora il suo nome. Anche il ritratto di Virginia era stato collocato nel museo, insieme ai ritratti dei personaggi più famosi degli anni Trenta-Quaranta, fra i quali quelli della principessa Doria Pamphili e del Negus. Negli annii Settanta s’incontrava di tanto in tanto a Villa Borghese Giann Agnelli, che andava a vedere il ritratto della madre. Ma poi l’originale in marmo l’aveva donato alla Scuola torinese per infermiere della Croce Rossa e non s’era più visto. Al museo è rimasto soltanto il modello in gesso. In Virginia Agnelli madre e farfalla, il libro apparso presso Minerva Edizioni, Marina Ripa di Meana e Gabriella Mecucci scrivono che Gianni Agnelli non si separava mai dal ritratto di Leonor Fini, che lo portava con sé nelle varie case, il che, congiuntamente al fatto che aveva donato il ritratto di Pietro Canonica alla Scuola torinese per infermiere della Croce Rossa, dimostrerebbe che l’Avvocato adorava la madre, tanto più che era morta ad appena quarantasei anni in un incidente automobilistico nei pressi di Forte dei Marmi. E non vi sarebbero obiezioni al riguardo, se Gianni Agnelli non avesse dato adito a dei dubbi. Ad esempio, un uomo assetato di pubblicità come lui aveva impedito che Mauro Bolognini realizzasse un film sulla famiglia Agnelli, partendo da Vestivamo alla marinara, il libro di Suni sceneggiato da Giorgio Bassani e Cesare Garboli. In quel film la madre avrebbe avuto un ruolo di primo piano, specialmente nelle scene in cui il senatore Giovanni le aveva fatto portare via i figli, ma Gianni ne aveva ricomprato i diritti sia cinematografici che televisivi e aveva fatto sparire tutto. Inoltre non parlava mai della madre, giustificandosi col dire che lui non amava il passato, che tutta la sua vita era stata una scommessa sul futuro.



E’azzardato pensare che Gianni Agnelli avesse qualcosa contro la madre? Probabilmente, egli non tollerava che la madre, dopo la morta del marito, fosse diventata l’amante di Curzio Malaparte, notoriamente, secondo l’opinione corrente, un dandy, un narciso, un camaleonte, uno scrittore che rincorreva il successo e lo scandalo. Malaparte non gli piaceva. Ecco come lo aveva descritto parlando con Enzo Biagi: ”Leccato, profumato, con giacche azzurre dai bottoni d’oro, lucido e unto” (Il signor Fiat, Rizzoli). Il nonno era giunto a togliere alla nuora i figli in odio a Malaparte. Per lui Virginia era una donna scandalosa. Comprensibile anche se non giustificabile per un torinese provenente da una famiglia militare. Ma è terribile pensare che lo fosse anche per uomo di mondo come Gianni, peraltro non meno dandy e narciso di Malaparte. Virginia avrebbe meritato un premio per avere amato un uomo come Malaparte, anche perché non era “un fascistone, tutt’altro che uno scrittore”,. come diceva Moravia, ma l’unico scrittore internazionale che avesse l’Italia dopo d’Annunzio, anche se, all’epoca della loro storia d’amore, non aveva ancora scritto Kaputt e La pelle, che Milan Kundera giudica due capolavori (Un incontro, Adelphi, 2OO9). Che Virginia lo avesse amato, come del resto che Malaparte fosse innamorato di lei, è confermato da numerose fonti ( Vestivamo alla marinara, Mondatori, I975, Giordano Bruno Guerri, L’arcitaliano.Vita di Curzio Malapartte, Bompiani, 2OO8 ). Moravia aveva dimenticato che Malaparte lo aveva ospitato a Forte dei Marmi quando i disturbi psicosomatici gli gonfiavano il viso fino a renderlo quasi cieco e aveva impedito che arrivasse al destinatario la lettera che lo scrittore romano aveva scritto al Duce nella quale diceva di non aver mai parlato male della rivoluzione fascista ( la lettera era stata ritrovata nell’archivio Malaparte, il quale vi aveva scritto su di suo pugno not to send). Chi di Virginia Agnelli volesse saperne di più, non ha che da leggere il libro di Marina Ripa di Meana e Gabriella Mecucci, fra i più interessanti apparsi in Italia negli ultimi tempi.
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