La sociologa Pitch: il decoro non è uguale per tutti

La sociologa Pitch: il decoro non è uguale per tutti
di Luigi Manconi
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Giovedì 21 Marzo 2013, 09:54 - Ultimo aggiornamento: 22 Marzo, 13:22
La tragica morte di due stranieri, bruciati vivi in un sottopasso nei pressi di Villa Borghese nel gennaio scorso, pu costituire il riferimento politico, ma anche emotivo e morale, per comprendere meglio il libro di Tamar Pitch, Contro il decoro.

L’uso politico della pubblica decenza (Laterza, 81 pagine, 14 euro). Un testo breve ma importante, che mette in fila fatti e situazioni, discorsi e politiche genericamente definite «della sicurezza», tutte legate dalla retorica del decoro. I fatti sono quelli che hanno portato ripetutamente agli onori (si fa per dire) delle cronache gli ultras e i tossicomani, i mendicanti e i lavavetri, le prostitute e i rom. Ognuno di questi soggetti, e le relative vicende, si è guadagnato, di quando in quando, l’etichetta di «emergenza», con il suo seguito di riprovazione e allarme, fino all’inevitabile disposizione legislativa o amministrativa, nazionale o locale, volta a contrastare il fenomeno.



Particolarmente utile la ricostruzione della vicenda degli ultras, i nemici perfetti, gli unici di tutta quella congerie di tipi umani a cui l’opinione pubblica non riesce a rivolgere neanche uno sguardo pietoso: a differenza di quanto accade per (quasi) tutte le altre figure richiamate, gli ultras sono solo colpevoli, mai anche vittime.



E allora controlli, Daspo, interdizioni. Così come nei confronti di rom, sinti e camminanti, tutti confusi nell’etichetta di nomadi e oggetto di un’alternanza di politiche pubbliche, che va dall’indifferenza alla discriminazione. Per non dire della retorica dell’identità nazionale o locale, che vorrebbe tutelare dalla invasione degli stranieri, o della contraddittoria articolazione di interventi contro la prostituzione di strada. Un filo comune lega queste politiche al di là dei confini temporali e spaziali, delle specifiche responsabilità dei governi nazionali o locali. Ma, pur all’interno di tale continuità, c’è stato un picco nelle politiche di contrasto verso queste «emergenze sociali», e si situa qualche anno addietro.



SINDACI

Ovvero quando il governo Berlusconi volle inaugurare il suo mandato con una sorta di «federalismo securitario» e l’invenzione del potere di ordinanza affidato ai sindaci. In quel modo e a quel tempo, indirizzi già chiari a livello nazionale trovano completamento nella fantasia punitiva di molti sindaci, almeno fino a quando la Consulta non ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei suoi presupposti normativi. Ma, si diceva, il libro di Tamar Pitch non si limita a ripercorrere queste vicende: evidenzia assai bene come la retorica del decoro regga l’intero scenario delle politiche del controllo sociale messe in atto nei confronti di quelle forme di marginalità che si vorrebbero disciplinare.



INDECENZA

Decoro è parola chiave, insieme caritatevole e normalizzante, negli sgomberi dei campi rom come nel florilegio delle ordinanze dei sindaci. Se «indecenza» vi è stata, e tutt’ora vi è, nei comportamenti pubblici di una parte significativa dei gruppi dirigenti di questo paese, essa risulta complementare, non alternativa, al controllo imposto dal decoro: il decoro è per gli uni (gli sregolati, i/le sex-workers di strada, i tossicomani, i rom e via elencando), non per gli altri e le altre, quelli che «se lo possono permettere», quel costume «non decoroso», per censo o per impunità, per privilegio o per arroganza. Il decoro, dunque, come strumento di governo, in cui le eccedenze, le differenze siano disciplinate o represse, occultate o sterilizzate. Inevitabilmente, allora, la retorica del decoro finisce per orientarsi al controllo dei giovani e delle donne, dei migranti e dei rom, di tutti e tutte coloro che rompono l’immagine patinata di una società impaurita e anestetizzata nei suoi umori, nelle sue passioni e nei suoi corpi.
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