Ma “La sirena” ha avuto anche il merito di ricordarmi dell’importanza di una forma ibrida della letteratura, quella che non è ancora un romanzo senza tuttavia essere più un racconto. E’ una misura a metà strada tra due modalità, e per questo difficilmente incasellabile, che però ha saputo dare nel corso dei secoli prova di originalità, stile e tenuta narrativa. Si pensi solo a “Bartleby lo scrivano” di Herman Melville, “Giro di vite” di Henry James, “La metamorfosi” di Franz Kafka, “La breve vita felice di Francis Macomber” di Ernest Hemingway, “Il poeta continua a tacere di Abraham B. Yehoshua, “Il silenzio” di Francesco Biamonti… Se non avete mai provato la forma intermedia tra racconto e romanzo (per certi si tratterebbe di racconti lunghi, per altri di romanzi brevi) partite da uno dei titoli appena citati e guadagnerete un nuovo vizio.
Tornando a Giuseppe Tomasi di Lampedusa e a Cvetan Todorov, per Fantastico in genere s’intende un racconto il cui scioglimento rimanga in bilico tra una spiegazione razionale e una sovrannaturale. Ma il perturbante è solo l’effetto finale di un’ipotesi che somiglia molto a uno slogan utopistico: un altro mondo è possibile? Quel racconto che, nella durata della lettura, mi offra un’incondizionata fuga dalla stolida realtà: ecco che cos’è il Fantastico. Non voglio che mi catapulti proprio in un universo parallelo (saremmo allora nel Fantasy o, ammettendo uno smottamento temporale in avanti, nella Fantascienza), mi basta che apra delle crepe nel mondo che conosco, che lasci trapelare l’eventualità che non è sempre tutto come sembra. E’, da parte di chi legge, un’inclinazione verso i colori cupi, il nero, il rosa antico, il pervinca. In questo senso il Fantastico prima di essere una modalità letteraria è uno stato d’animo, un sentimento.
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