Guttuso, l'arte della penna in duemila pagine

Il Caffè Greco, opera celebre di Guttuso
di Fabio Isman
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Venerdì 13 Settembre 2013, 13:55 - Ultimo aggiornamento: 16 Settembre, 13:13
Pi che un libro, un monumento: in quasi duemila pagine, scritte in piccolo, tutti i testi di Renato Guttuso, sicuro protagonista del Novecento, indubbio mentore della politica e del modo con cui coniugarla (o non?) all’arte, persona e personaggio che ha sempre discusso di tutto e sempre fatto discutere di sé. Voluto da Fabio Carapezza, che al proprio cognome ha aggiunto, per volere dell’artista, quello di Guttuso, l’ha curato Marco Carapezza: ha un interessante contributo (politico) di Massimo Onofri, è pubblicato da Bompiani nei “Classici” (50 euro).

POLIEDRICO

Si va dal 1929 (uno scritto su Pippo Rizzo, il maggiore futurista siciliano), fin quasi alla vigilia della morte, avvenuta nel 1987, a 74 anni; testi già editi, però ormai dispersi ai quattro venti, che coprono l’intero scibile. Parlano di artisti famosi e di correnti; di astratto e di figurativo; di politica e salvaguardia; della sua Sicilia, dell’impegno civile, e di molto altro ancora. Guttuso ha sempre scritto moltissimo (e si vede).

Tra il 1961 e ’63, perfino progettato una rivista, chiamata “La Medusa”, poi “Documenti sull’arte contemporanea”; ne stampò due primi numeri, ma non andò oltre: né Feltrinelli, né Einaudi la volevano pubblicare. In queste pagine, si rincorrono gli amici (Giorgio Morandi è il continuatore di Cézanne, «e forse il più originale e acuto insieme a Braque»), e le amicizie interrotte, come quella con Leonardo Sciascia.

LA CONVERSIONE

Il tomo è diviso in sezioni. “Dei pittori e degli amici”, ripartita in “Dossier novecenteschi”, “Dossier Picasso” (un artista che gli fu sommamente caro) e “Visite all’arte del passato”; segue “Del realismo, del presente e d’altro”, con le polemiche (“Per una poetica del realismo e la critica al sistema dell’arte”); le “Pagine di Diario”: 25 anni sparsi tra il 1939 e il 1984; e “L’impegno civile e la difesa del patrimonio artistico”. Il solo indice dei nomi occupa quasi 50 pagine. Dice di Scipione, Mafai, Trombadori; ma anche “I prelittoriali a Roma” e “La mostra degli squadristi”, 1940. La conoscenza di un certo professor Lombroso, nel 1934: non aveva giurato fedeltà a Mussolini, e da lui sente «per la prima volta il nome di Gramsci»; e già nel 1935 i contatti, a Milano, con Birolli, De Grada e Sassu, antifascisti, con gli operai della Breda; poi la «prima cellula clandestina», con Ignazio Buttitta, appena tornato in Sicilia.

INCONTRI

“Quella sera con Picasso”, sei giorni con lui a Mougin, era il 1965. Se ne va Rosai: «Ottone è morto, un amico dei più cari e certi, uno degli ultimi (un superstite) della razza dei pittori italiani». Il Beaubourg è «uno strumento, oltre che un simbolo», ah «se l’Italia ce lo avesse». Quello alla Sistina è «il restauro del secolo». Raffaello possiede pure «qualcosa di misterioso, quasi un alone di intoccabilità attorno alla sua opera», non tenerlo a distanza suona come «una profanazione». Picasso gli ricorda il «Trionfo della morte» nella sua Palermo. Nel 1949, declina la sua arte: in «barattoli le tinte principali, una grande tavolozza di vetro, pennelli grossi», eccetera; «non dipingo idee, ma cose e vita». E, soprattutto, «non sono una marionetta»: il passato è passato, ecco perché ormai Guttuso è un altro.

I CAPOLAVORI

In questa pagine, e ve ne sono le immagini, passa anche la sua carriera pittorica: la “Fucilazione in campagna” (1936) e “La fuga dall’Etna” (1939); la “Crocifissione” (1940, Premio Bergamo), fino all’“Occupazione delle terre” e “La battaglia di Ponte dell’Ammiraglio” degli Uffizi, larga 5 metri; “I funerali di Togliatti”, “La Vucciria”, “Caffé greco”, “La visita della sera”, l’eco delle sue donne. A Roma, approda a 20 anni alla Quadriennale 1931; due anni dopo, vi prende casa definitivamente.

Piazza Melozzo da Forlì fino a Palazzo del Grillo, dove è dal 1964 al ’87, lo ricorda una lapide. Molti lo credono il nume tutelare in campo artistico dell’ortodossia comunista, e forse non a torto. Tante le polemiche. Se ne va con vicino gli amici di sempre, e un alone di conversione cattolica in extremis. E’ il primo a opporsi ai viaggi (inutili) delle opere d’arte: come per i Bronzi di Riace. L’artista, deve «partecipare - scrive - senza riserve all’azione politica rivoluzionaria» (1969); e litiga con Sciascia suo grande amico (spiega Carapezza Guttuso), «che ha rivelato pubblicamente certe dichiarazioni private di Berlinguer sul terrorismo rosso» (’80). In duemila pagine, passa davvero tutto un mondo.

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