Quando Luigi Einaudi spiegava
«il miracolo della patrimoniale»

La copertina dell'istant book di Chiarelettere
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Martedì 11 Ottobre 2011, 13:50 - Ultimo aggiornamento: 9 Marzo, 10:59
E' uscito per la prima volta nel marzo del 1946, ma il saggio di Luigi Einaudi "L’imposta patrimoniale" sembra parlare del sistema fiscale dell'Italia di oggi. «Semplificare il groviglio delle imposte sul reddito è la condizione essenziale affinché gli accertamenti cessino di essere un inganno, anzi una farsa. Affinché i contribuenti siano onesti, fa d’uopo anzitutto sia onesto lo stato… Oggi, la frode è provocata dalla legge», scrive l'economista nel saggio che Chiarelettere ripubblica nella collana Instant Book con il titolo "L’imposta patrimoniale. Bisogna ricreare fiducia. Questo è il miracolo dell’imposta straordinaria sul patrimonio". Einaudi (1874 – 1961) è stato governatore della Banca d'Italia e presidente della Repubblica, di cui è considerato uno dei padri fondatori. Ecco un estratto del saggio.





di Luigi Einaudi



Il miracolo che l’imposta straordinaria patrimoniale è
chiamata a compiere in Italia è davvero grande: nientemeno che mutare a fondo la psicologia del contribuente. Finora, le imposte italiane sul reddito sono sempre salite, su su, sino alla intollerabilità. Pochi studiosi hanno fatto il conto di questo crescere (…).



La molteplicità, l’intrico, le sovrapposizioni sono oramai giunte a tale stremo, che nessuno ci si raccapezza più. La gente tira a non pagare; i procuratori ai diversi generi di imposte, disperati per la fatica disumana di applicare tante imposte diverse e di compilare e copiare ruoli a non finire, giuocano a mosca cieca; le commissioni giudicatrici dei ricorsi hanno una massa enorme di arretrati da liquidare; il catasto edilizia, il quale prometteva tanta scoperta di materia imponibile ignota, è rimasto arenato quand’era quasi giunto al traguardo; e, come conclusione finale, le imposte dirette rendono troppo poco in più di quanto fruttavano nel 1939 mentre dovrebbero rendere, a causa della svalutazione monetaria, almeno dieci volte tanto.



Il rimedio antico ed accettato al malanno è noto: poiché le vecchie imposte non rendono quanto debbono, se ne creino delle nuove. Insieme con l’avocazione dei profitti di regime, mi pare di aver contato almeno sei imposte gravanti tutte sul medesimo oggetto, che sono i guadagni ottenuti tra il 1939 ed il 1945, con diaboliche indicibili sovrapposizioni e confusioni. Il legislatore, disperando di cavare quel che si dovrebbe dalle imposte ordinarie, inventa nuovi balzelli, nuovi tormenti e nuovi tormentati. Se però le vecchie imposte rendono poco perché è male accertata la loro materia imponibile, non c’è speranza che gli accertamenti ai fini delle nuove imposte siano migliori. Si costruisce sulla sabbia mobile ed i frutti avranno sapore di tosco: disillusioni per la finanza e scoraggiamento per i contribuenti. Il contrario di quel che si dovrebbe fare per la ricostruzione economica e sociale del paese.



Giunti a questo malaugurato punto v’ha una sola strada di uscita, una sola via di salvezza. Dare per la prima volta ai contribuenti italiani, coi fatti e non con le prediche di noialtri economisti, la sensazione precisa che si vuol mutare rotta. Questo è il momento di ripetere l’esperienza che Roberto Peel compié nel 1842 in Inghilterra, semplificando il sistema delle vecchie imposte, consolidando le sopravvissute, abolendo i dazi su 1000 voci e lasciandone sussistere una ventina; ristabilendo, migliorata, la gloriosa imposta sul reddito, la income tax che, istituita nel 1797, era stata abolita alla fine delle guerre napoleoniche, nel 1815, a furia di popolo. All’imposta sul reddito Roberto Peel chiese ed ottenne di fare il ponte nel momento di transizione quando i 1000 dazi aboliti avrebbero cessato di fruttare ed i 20 conservati non avrebbero ancora oltrepassato, come poi di fatto avvenne, il gettito di tutti i 1020 insieme. Questo è il grande compito della straordinaria patrimoniale nel presente momento storico; il miracolo che essa deve compiere. Lo compirà, se saranno bene poste le sue condizioni.



Prima condizione: dare col fatto la sensazione precisa che è finita l’era lunga (1860-1945) dell’incremento continuo esasperante delle imposte ordinarie sul reddito. Gli aumenti debbono essere riservati ai momenti di pericolo, alle grandi opere trasformatrici, discusse secondo un piano ragionato ed accolto dalla opinione pubblica. Anche gli italiani sono disposti a vedere raddoppiate, triplicate le aliquote delle imposte sul reddito quando la patria fa ad essi appello per una causa giusta. Anche gli italiani sono disposti a plaudire al giudice – ma sia il giudice ordinario ed indipendente – il quale mandi in galera il contribuente frodatore, alla pari di ogni altro delinquente. Ma perciò occorre che il peso dell’insieme delle molte inspiegabili imposte sul reddito sia ridotto ad un limite ragionevole. A partire dall’operaio e dal bracciante ad andare sino al grande industriale o proprietario tutti devono e sono disposti a pagare; ma siano imposte, le quali vadano, ad es., dal 4 al 40 per cento su redditi bene accertati. Una sola o due imposte; una reale alla base ed una complementare progressiva possono bastare a fruttare assai di più di quanto non frutti l’imbrogliato amalgama incoerente delle imposte odierne (…).



Ma la via della sanità importa un rischio. Le imposte moderate e bene repartite sono certamente destinate a fruttare, sono le sole le quali fruttino; ma alla lunga. Oggi noi non corriamo certamente il pericolo che le imposte sul reddito, ridotte e trasformate secondo ragione, fruttino di meno del gettito attuale, perché al disotto del miserando gettito odierno non si può scendere. Ma il gettito attuale non basta. Bisogna crescerlo. Con le male maniere non ci si riesce; con le buone, sì; ma alla lunga. All’intervallo pericoloso provvede la straordinaria patrimoniale. Se noi daremo la sensazione netta precisa sicura al contribuente che il letto di procuste in cui egli è ora costretto dal grottesco cumulo di imposte vigenti sarà allungato ed appianato; che ad ogni anno non si rinnoverà il tormento del taglio minacciato di qualche membro del suo corpo vivo; se gli si assicurerà che, saltato il fosso, egli si ritroverà sul terreno sodo e respirerà di nuovo liberamente, anche il contribuente italiano salterà il fosso; ossia pagherà la imposta straordinaria patrimoniale (…).



Quando non si fa giustizia, le leggi non sono osservate, nemmeno quelle tributarie, e gli stati vanno alla perdizione. Gli italiani vogliono invece, tutti, la ricostruzione del paese che essi amano sovra ogni altro al mondo.


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