Paperino e la moglie di Napoleone: lunatici, matti e giullari di Roma

Paperino e la moglie di Napoleone: lunatici, matti e giullari di Roma
di Ugo Ricciarelli
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Mercoledì 6 Giugno 2012, 13:23 - Ultimo aggiornamento: 21:30
Giovanni aveva la barba e i capelli neri. Era giovane. Diceva che a trent’anni aveva saputo di essere stato adottato. A quel tempo viveva in Austria ed era tornato in Italia dove era nato. Se ne stava tutto il giorno su una panchina. Aveva chiesto un paio di scarpe da ginnastica, ma una volta avute le aveva rimandate indietro perché erano bianche. Un ragazzo lo aveva portato a casa sua a fare il bagno. Gli era piaciuto molto. Aveva un appuntamento per lavorare, ma non ci era andato lo stesso. Però ogni quindici giorni andava dal ragazzo e gli dettava complicate strategie di politica internazionale. Sapeva tutto di armi e militari.



- Al Prenestino, girava uno chiamato l’Agente segreto: parlava a mezza voce con il bavero della giacca, come se stesse trasmettendo qualcosa, ma è tanto che non si vede più, forse era solo qualcuno che ha avuto un attimo di sbandamento.

- A Prima Porta incontravi uno la notte, alla chiusura dei locali, con un cartone in mano. Dentro ci teneva tutti gli avanzi della carne dei ristoranti della zona. Diceva che li portava ai gatti, perché c’era gente che diceva di amarli e poi li ammazzava. Diceva anche che era un chiromante, che leggeva la mano e fregava gli zingari, perché lui il futuro lo vedeva in tre carte, e loro in quattro.

- In centro c’era una che tutti i giorni passeggiava tra via della Vite e via del Gambero con due buste della spesa piene di stracci. Indossava un grembiule e dei calzini. In estate attaccava all’alba a urlare: «Muratore! Muratore! Cosa fai, muratore? Cosa guardi, muratore? Sono piccola muratore! Operaio! Operaio! Lasciami stare, operaio!». E a tutte le donne che uscivano per la strada urlava: «Puttana, tu sei puttana. L’hai incontrato l’operaio?». E svegliava tutti la mattina e nel primo pomeriggio.

- Al Trullo c’era uno che si chiamava Leonardo. Comprava le Camelline, che erano le sigarette Camel in confezione da dieci, e chiamava le banconote a seconda del colore: i soldi bianchi, verdi, blu e viola corrispondevano rispettivamente a 1.000, 5.000, 10.000 e 50.000 lire.

- C’era un tipo arrabbiatissimo con le donne: entrava spesso in un bar percorrendolo a lunghi passi e ripetendo in continuazione: «Tutte stronze, tutte. Tutte stronze, le donne, tutte, tutte, tutte stronze. Tutte tutte le donne, stronze stronze».

Poi si fermava al banco e chiedeva: «Che mme fai ’n caffè? Che mme fai ’n caffè? Che mme fai ’n caffè?».

- Alla fermata della metropolitana di Eur Fermi incontravi una tutta spettinata. Dicevano che era plurilaureata. Batteva un piede come se marciasse sul posto e intanto girava la testa di scatto dicendo: «Tac!».

Lentamente poi riportava lo sguardo davanti a sé con una

risata profonda. Infine aggiungeva, con voce impostata: «Io! Giuseppina, moglie di Napoleone…».

E proseguiva raccontando la sua vita.

- In via del Governo Vecchio c’era uno che si chiamava Armando, e andava su e giù vestito in maniera abbastanza ricercata, gridando: «A me m’ha rovinato la guera!».

Se invece incontrava una donna, faceva un inchino e gridava: «A me m’hanno rovinato le donne!».

- Nei cinema si vedeva uno che girava con un fascio di riviste specializzate sotto il braccio. Certuni lo chiamavano Brucia, perché una volta, all’uscita della sala dove proiettavano Il sorpasso si mise a commentare il film a lungo, ripetendo sempre una stessa frase: «Brucia la vita, brucia la vita».

Certe volte lo facevano entrare gratis.

- Nei paraggi della stazione Termini c’era uno che girava con un carrello e teneva tre sigarette spente fra le dita della mano sinistra e una accesa nella destra.

- In via dei Pettinari viveva uno che si svegliava puntualmente ogni notte tra le tre e le quattro, e cominciava a urlare. Aveva una voce roca e l’accento molto spiccato. Ce l’aveva soprattutto con le puttane. Gridava: «Mi fate schifo!».

Poi cominciava a descrivere nel dettaglio le pratiche relative e quindi concludeva urlando: «Mi turbate il sonno!».

- Sulla metro A c’era un altro soprannominato Paperino perché faceva l’imitazione del personaggio Disney. Tenendo i denti stretti rifaceva la voce che Paperino ha nei cartoni animati. Era piuttosto ben vestito, in giacca e cravatta, con una valigetta ventiquattrore nella mano.

- A viale Trastevere si poteva vedere una che attraversava la strada lanciando baci con la mano ai conducenti degli autobus.

- Al mattino, di buonora, c’era uno con un fazzoletto rosso al collo e uno strano cappello che faceva la fila davanti a uno sportello bancario in attesa che aprisse; poi si infilava nella bussola, ma rimaneva regolarmente incastrato perché andava in giro con un grosso bastone e un enorme sacco pieno di cianfrusaglie varie.

- Ogni mattina, sulla metropolitana c’era una che dicevano fosse un’insegnante in pensione. Portava con sé una specie di registro di classe: lo studiava e poi, con fare minaccioso, alzava gli occhi dal registro, guardava qualcuno, gli si avvicinava e lo interrogava su vari argomenti di storia, geografia o letteratura. Se l’interrogato faceva finta di niente, lei si metteva a urlare, intimandogli di venire l’indomani accompagnato dai genitori.

- Sulla metro B c’era una che cantava canzoni francesi. Era molto stonata, ma non accettava di sentirselo dire. Se qualcuno si azzardava a guardarla male, lei reagiva cantando più forte. Un attimo prima di scendere, urlava: «Adieu messieurs et mesdames!».

- A piazza Barberini c’era uno che si chiamava Remigio. Era alto, magro e portava un cappello con la girandola in cima, oppure con delle antenne di plastica. Aveva degli occhiali da vista molto spessi e su questi metteva un secondo paio di occhialoni colorati. Dicevano che aveva fatto il ballerino, e infatti ogni tanto si metteva a ballare. Però trascorreva la maggior parte del tempo urlando contro i pedoni o facendo l’imitazione di qualcuno di passaggio, tanto che le persone lo evitavano e si tenevano lontane. Lui allora se la prendeva con gli automobilisti che sfrecciavano e se ne fregavano. Una volta di lui parlarono anche i giornali perché ebbe uno scontro con la scorta di Cossiga e fu denunciato per vilipendio del capo dello Stato.

- La vedova di un grande scrittore era una che negli ultimi tempi usciva di casa col cappotto e la veletta, ma sotto portava solo la sottoveste. In mano, per sicurezza, teneva una piccola rivoltella.

- C’era una che si chiamava Elisa ed era benestante, tanto che usciva di casa con camicie da notte molto costose.

- C’era una coppia di gemelli, fratello e sorella, sdentati e rapati, identici, che camminavano spingendo una carrozzina per bambini con dentro una varietà di cose.

Una volta incontrarono una ragazza coi capelli corti e vestita di nero. L’aggredirono urlando: «Nazista!». In particolare, la sorella gridò: «Io lo so chi sono i nazisti!».

Dicendolo si scoprì il braccio, e sul braccio c’erano tatuati dei numeri.








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