Giorgio Montefoschi e il suo romanzo: «Amore, ultima trasgressione»

Giorgio Montefoschi e il suo romanzo: «Amore, ultima trasgressione»
di Leonardo Jattarelli
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Martedì 18 Febbraio 2014, 19:40 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 16:32
​L’amore un attimo eterno. Forse. Ma cos’ che regola il tempo dell’amore? Il ritmo delle parole, anzi del “parlarsi”, i suoni caldi della condivisione, i silenzi delle attese, l’orchestrazione dei luoghi, degli spazi, il sibilo della fine. La sinfonia del cuore di Giorgio Montefoschi nel suo ultimo La fragile bellezza del giorno è un appassionante concerto dei sentimenti, mai dissonante ma volutamente sempre sul punto di infrangere un’armonia. Ernesto è uno scrittore che non ha più voglia di esserlo, perché l’amore della sua vita, sua moglie Carla, col suo andarsene per sempre, gli ha sottratto ogni storia immaginaria affidata alle parole. Lui di parole non ne vuole più. Legge L’uomo senza qualità di Musil, ripetutamente. Cerca la solitudine anche se ancora vuole nutrirsi di amore, quello per i suoi nipoti, in particolare. Sullo scenario di una Roma ombrosa, profumata di resina di pini secolari, tutta racchiusa tra Villa Borghese, Viale Liegi, Piazza Ungheria che insiste su una geometria decadente di strade e piazze senza riuscire, senza voler riuscire a diventare labirinto, improvvisamente accade qualcosa. L’eternità dell’amore incontra il suo attimo: Claudia, elegante e sensuale quarantacinquenne entra dirompente nel silenzio del sessantenne Ernesto e gli regala la grande emozione. Accade. E accade che, nella narrazione, il “blocco dello scrittore” scompaia andando a ripescare il lungo flashback dell’amore eterno per Carla.

Montefoschi, lei si chiede “è possibile innamorarsi perdutamente in un quarto d’ora?”. Cosa si risponde?

«Che l’amore è legato al tempo. C’è il momento incandescente, poi c’è quello nuvoloso e infine, come dice Seneca, quello della raccolta “del frutto maturo dell’orto”. Non esiste il tutto e subito ma va seguita una parabola che ha una sua fatica e una sua bellezza. Poi ci sono le tentazioni, il risveglio dell’erotismo».

Ma l’amore è irripetibile?

«È il fulcro del romanzo, che in questo senso è trasgressivo, controcorrente proprio perché, oggi, parla dell’amore assoluto. L’amore che dura per sempre ha a che fare con la grazia divina, con un’illuminazione misteriosa che ci travolge e io ne sono forse l’ultimo dei celebranti. La storia della letteratura mondiale ne è intrisa e ora invece noi viviamo questo sentimento in tempi troppo stretti, come cortocircuiti atemporali».

Come se lo spiega?

«Credo che uomini e donne oggi abbiano una grande nostalgia sepolta, quella per l’amore profondo. Ma si ha paura di riconoscerlo all’altro e a se stessi».

Il suo Ernesto è un uomo ripiegato...

«Avverte l’oscurità di questi tempi. Viviamo in un periodo di nebbia, come per L’uomo senza qualità di Musil. La letteratura si specchia su se stessa».

La Roma del suo romanzo è uno spicchio di città borghese avvolta anch’essa in un’atmosfera decadente.

«Credo di averla stilizzata. Non è invadente, non è reale ma astratta. Nella mia scrittura i luoghi sono fondamentali. Le strade riflettono lo stato psicologico dei personaggi, così come le condizioni atmosferiche. Amo l’Orhan Pamuk de Il museo dell’innocenza dove sembra di vivere dentro quelle strade che lo scrittore descrive in modo così vivido».

«Scrivere è faticoso» dice il protagonista. Quanto c’è di autobiografico nel suo libro?

«È forse il romanzo che mi somiglia di più. Scrivere è una fatica quotidiana. Io sono uno metodico; dalle 9 alle 13 della mattina sono al tavolo ma il problema è che non so mai cosa scriverò. A guidarmi sono le parole e il procedere al buio è tremendamente stancante. Credo che lo scrittore debba saper ascoltare la parte di sé che fa resistenza».

La sua cura dei dialoghi è quasi maniacale. E acquista un’importanza ancora maggiore in un momento in cui virtualità fa rima con incomunicabilità.

«Parise mi diceva “Curi bene i dialoghi” e aveva ragione. A loro è affidata anche la confessione e ciò che andrebbe taciuto».

Ha mai inviato un tweet?

«Li odio. È un linguaggio sincopato e arido, una rinuncia alla parola. Oggi siamo tornati alle stanghette delle scuole elementari. Il fatto che anche la politica ne faccia uso mi indigna».

Come vive l’amore ai tempi di Internet?

«Con una sofferta distanza. La gente ha paura del contatto. L’anonimato ti offre una pseudo-protezione, ti concede spalvaderia per mascherare angoscia e paura. Insomma per me è un amore disastrato. Non è una rivoluzione bensì una regressione. La letteratura oggi ha un grande compito: restituire agli uomini i suoi tempi naturali. E restituirglieli con verità».
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