Poi la sua unica preoccupazione sarebbe stata quella di abbreviare l’attesa, astenendosi socialmente dal mangiare e dal bere; in altre parole, si sarebbe procurato la morte da solo. Al sesto giorno avrebbe radunato gli amici attorno al suo letto e, deridendo le cose umane e la morte stessa, avrebbe esclamato: «perché piangete per me e non pensate piuttosto alla pestilenza e al destino di morte che ci accomuna?». Non appena i presenti accennarono ad allontanarsi, sospirando avrebbe infine esclamato:«visto che già volete congedarvi da me, io vi precedo e vi dico addio». E quando gli chiesero a chi affidava il figlio, avrebbe risposto: «a voi, se ne sarà degno, e agli dèi immortali». I soldati, venuti a conoscenza delle gravi condizioni in cui versava l’imperatore, erano addolorati, piangevano per la sincera affezione che provavano nei suoi confronti.
Il racconto, questa sorta di miscuglio tra la Passione e la morte di Cristo e la morte di Alessandro Magno, culmina nella descrizione del settimo giorno: «si aggravò, e ammise alla sua presenza solo il figlio, che del resto subito congedò, perché non avesse a subire il contagio». Poi si coprì il capo, «come se volesse dormire, e durante la notte spirò». Cassio Dione racconta che Marco avrebbe raccomandato caldamente il figlio, specialmente all’esercito, quasi in un estremo atto di altruismo, volto a mostrare che Commodo non lo aveva sulla coscienza. Poi, per “bilanciare”, fa entrare in scena il tribuno della guardia, al quale Marco, come a suo tempo Antonino, doveva lasciare la parola d’ordine.
Le sue ultime parole sarebbero quindi state le seguenti: «va verso il sole levante, io sono al calante». L’allusione dello storico, non dell’imperatore era alquanto cupa; a utilizzare la metafora del sole era stato Pompeo, quando aveva voluto chiarire a un diffidente Silla chi fra loro rappresentava il futuro. A Cassio Dione si sarebbe ispirato Erodiano per il preludio della sua opera didattico-pedagogica, dove troviamo un Marco Aurelio che in punto di morte si preoccupa per il figlio e l’impero, assurgendo a inimitabile esempio per tutti i suoi successori. (...)
Le fonti ci dicono che Commodo si sarebbe rifiutato di portare a compimento la vittoria di Roma sui barbari, per paura, indolenza o invidia nei confronti del padre, in ogni caso contro il parere di tutti i consiglieri del beneamato Marco; insomma, l’imperatore «sarebbe stato fortunato se fosse morto senza figli».