Marco Aurelio, il pensatore
che scelse una morte da stoico

Frammento del ritratto in bronzo di Marco Aurelio (Parigi, Museo del Louvre)
di Jörg Fündling
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 24 Giugno 2009, 18:03 - Ultimo aggiornamento: 19:25
ROMA (24 giugno) - All’inizio del 180 l’Augusto si ammal, cosa che gli capitava spesso. Stando alle dicerie dei contemporanei, raccolte dal giovane Cassio Dione, a ucciderlo non sarebbe per stata la malattia, bens l’ambizione sfrenata dei medici, i quali, accelerando la successione, avrebbero mirato a ingraziarsi Commodo. Ma che si tratti di una versione costruita a posteriori, traspare gi dal tono esacerbato del racconto. Nella tradizione letteraria la fine di Marco un’apoteosi e al contempo il tribunale in cui viene condannato il successore. Ai primi sintomi della malattia, leggiamo nella Historia Augusta, Marco avrebbe fatto chiamare Commodo per chiedergli di portare a termine la guerra, «perché non avesse ad apparire un traditore dello Stato»; e il figlio avrebbe risposto, spietatamente, che l’unica cosa che gli stava a cuore era la propria salute. Accettato anche questo, Marco si sarebbe limitato a pregare l’erede di «non partirsene seduta stante», ma di aspettare qualche giorno, per non morire da solo.



Poi la sua unica preoccupazione sarebbe stata quella di abbreviare l’attesa, astenendosi socialmente dal mangiare e dal bere; in altre parole, si sarebbe procurato la morte da solo. Al sesto giorno avrebbe radunato gli amici attorno al suo letto e, deridendo le cose umane e la morte stessa, avrebbe esclamato: «perché piangete per me e non pensate piuttosto alla pestilenza e al destino di morte che ci accomuna?». Non appena i presenti accennarono ad allontanarsi, sospirando avrebbe infine esclamato:«visto che già volete congedarvi da me, io vi precedo e vi dico addio». E quando gli chiesero a chi affidava il figlio, avrebbe risposto: «a voi, se ne sarà degno, e agli dèi immortali». I soldati, venuti a conoscenza delle gravi condizioni in cui versava l’imperatore, erano addolorati, piangevano per la sincera affezione che provavano nei suoi confronti.



Il racconto, questa sorta di miscuglio tra la Passione e la morte di Cristo e la morte di Alessandro Magno, culmina nella descrizione del settimo giorno: «si aggravò, e ammise alla sua presenza solo il figlio, che del resto subito congedò, perché non avesse a subire il contagio». Poi si coprì il capo, «come se volesse dormire, e durante la notte spirò». Cassio Dione racconta che Marco avrebbe raccomandato caldamente il figlio, specialmente all’esercito, quasi in un estremo atto di altruismo, volto a mostrare che Commodo non lo aveva sulla coscienza. Poi, per “bilanciare”, fa entrare in scena il tribuno della guardia, al quale Marco, come a suo tempo Antonino, doveva lasciare la parola d’ordine.



Le sue ultime parole sarebbero quindi state le seguenti: «va verso il sole levante, io sono al calante». L’allusione dello storico, non dell’imperatore era alquanto cupa; a utilizzare la metafora del sole era stato Pompeo, quando aveva voluto chiarire a un diffidente Silla chi fra loro rappresentava il futuro. A Cassio Dione si sarebbe ispirato Erodiano per il preludio della sua opera didattico-pedagogica, dove troviamo un Marco Aurelio che in punto di morte si preoccupa per il figlio e l’impero, assurgendo a inimitabile esempio per tutti i suoi successori. (...)



Le fonti ci dicono che Commodo si sarebbe rifiutato di portare a compimento la vittoria di Roma sui barbari, per paura, indolenza o invidia nei confronti del padre, in ogni caso contro il parere di tutti i consiglieri del beneamato Marco; insomma, l’imperatore «sarebbe stato fortunato se fosse morto senza figli».