Giuseppe Pontiggia: in uscita due volumi di memorie e conversazioni con l'autore

Giuseppe Pontiggia: in uscita due volumi di memorie e conversazioni con l'autore
di Renato MInore
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Giovedì 2 Gennaio 2014, 20:44 - Ultimo aggiornamento: 5 Gennaio, 14:05
"Con Giuseppe Pontiggia. Le voci della notte bianca" il volume che raccoglie (GuaraldiLAB Guido Conti editore, a cura di Daniela Marcheschi, 140 pagine, 10 euro) le memorie e i contributi critici e bibliografici di un'emozionante lunga serata milanese dedicata allo scrittore nel giugno scorso. Contemporaneamente Rossana Dedola pubblica le conversazioni con lo scrittore registrate dal 2001 al 2003 sulla ”letteratura e le cose essenziali che ci riguardano” (Avagliano, 210 pagine, 14 euro) . Pontiggia è morto dieci anni fa, a sessantotto anni, nel pieno della creatività, dopo aver scritto quelli che forse restano i suoi libri più dolorosi e intensi, "Nati due volte" e "Prima persona". Nel primo aveva raccontato il travagliato e umanissimo rapporto tra un padre e un figlio disabile. Attingeva a una dolorosa esperienza personale raggiungendo il massimo di pertinenza e verità nel descrivere l'esistenza di un piccolo grande eroe, forte della sua stessa fragilità.



Libro pietoso e mai vittimistico, crudele e tenerissimo, con una radicalità esatta e perturbante, irrorata da un vero stenografo dei sentimenti com'era il "nostro indimenticabile Peppo> che scrittori, critici amici che ora ricordano, e in moltissime aspetti. Autoironico gourmand o bibliofilo appassionato il cui "tesoro" (oltre trentacinquemila volumi catalogati secondo un ordine personalissimo né tematico né alfabetico) è ora diventato un bene pubblico a Vigevano. Insegnante di scrittura "exemplum di fatica e inesausta esigenza" (Laura Lepri) che "trasmette non tanto la sua sapienza quanto il metodo" (Guido Conti): quello di "diventare padroni del linguaggio, e perciò in grado di valutarne le conseguenze, sulla pagina e nella vita" (Laura Bosio). Autore che a un certo punto volle, per i suoi libri, una pagina con un corpo più grande e una giustezza più stretta, poco testo e molto margine bianco: "La chiamammo "gabbia Pontiggia". Ordinata, composta, elegante, tutto sembrava stare al suo posto", ricorda Antonio Franchini.



Quello scrittore era anche un raffinato saggista che, in pieno accordo con il narratore, trovava la sua misura lavorando sulla proprietà, sulle sfumature, sulle variazioni minime della parole o delle parole. Un vero anatomista del linguaggio che, con la spietata leggerezza di una lama comica, grottesca, parodica, sapeva vedere dentro per scoprirvi i sensi riposti, le scorciatoie, le infinite tagliole del fraintendimento. Come gli era capitato -appunto- raccogliendo i testi di "Prima persona". Che ancora più, a rileggerli oggi montati smontati, integrati, dopo la loro prima destinazione pubblicistica, sono quelli un orafo o di un contemporaneo pittore di mosaici le cui tessere sono fatti e persone, tic e vezzi, tendenze e aberrazioni del vivere contemporaneo, con una continua domanda di senso. Erano le mutazioni del costume, le imposizioni delle mode, la paranoia dell'inesauribile chiacchiericcio politico e mondano che l'elastico della scrittura modella e organizza su toni e registri insieme leggeri, pietosi e spietati. Come nel caso delle caustiche considerazioni sulle "strenne" come dono, testo inedito che anticipiamo dove rifulgono le qualità dell'andamento sintattico, della densità luminosa, dell'intelligenza profonda in cui Paolo Febbraro individua il tono e la giusta cadenza intellettuale di Pontiggia. Il quale, nella conversazione con Rossana Dedola dice cose essenziali su come la parola possa aprire l'accesso a una comprensione rinnovata o sconvolgente o inquietante o stupefacente della nostra esperienza, e su come uno scrittore possa coltivare questa responsabilità della parola e del proprio linguaggio.



E la parola di Pontiggia, di chi non "faceva" lo scrittore-maître-à-penser, ma lo era (secondo la definizione di Pier Luigi Amietta), è restituita alla sua "energia biologica", alla concretezza materiale e corporea. E in questo senso è una parola "classica", che viaggia sulle curve che il tempo ha descritto lasciando ogni volta dietro di sé sedimentazioni di significati e usi; e dei classici Pontiggia è stato un lettore intelligente, capace di sperimentare sui loro testi modi appassionanti e vitali per riavvicinarli alla nostra contemporaneità. Con una raffinatissima perizia filologica, che "lo scrittore maneggiare con tale sapienza da restituirla distillata nella brevitas dell'aforisma" (Giulia Brecciaroli). Lo sguardo affilato di Pontiggia penetra e dissoda, come un insetto nella teca infilza i protocolli del luogo comune ovunque esso appaia.



L’identità, la menzogna, la dissimulazione, la fatalità, il gioco: sono i temi che tornano nei romanzi con cui Pontiggia si è poi imposto come un narratore dagli anni settanta: Il giocatore invisibile, Il raggio d’ombra, La grande sera. La storia di famoso professore d’università impegnato a scoprire un suo nemico capace di ogni nefandezza. La vicenda di un sedicente antifascista che durante il regime ha in realtà portato in carcere molti suoi oppositori. La parabola esemplare di un uomo che decide di scomparire senza lasciare alcuna traccia. I romanzi di Pontiggia formano un vero e proprio trittico, scivolano analizzando i doppi e i tripli fondi della realtà, i suoi risvolti ambigui, con un uso dominante del dialogo e dell’aforisma in chiave narrativa alla Kundera o alla Bernhard, e con la consapevolezza che 'la verità si nasconda nei dettagli, ma il dettaglio deve essere importante'.
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