Scandalosa Giulia, figlia di Augusto
vittima del potere: la puella di Virgilio

Svedomsky, Giulia a Ventotene
di Valerio Massimo Manfredi
7 Minuti di Lettura
Martedì 11 Dicembre 2012, 11:39 - Ultimo aggiornamento: 12 Dicembre, 14:14

ROMA - Chi non ha mai avuto il sospetto che il prodigioso puer dell’ecloga IV di Virgilio che avrebbe riportato l’et dell’oro sulla terra, non potesse essere il figlio di un qualunque Asinio Pollione? La profezia talmente impressionante che per tutto il medioevo si credette che Virgilio fosse stato l’inconscio profeta dell’avvento di Ges. Ora Lorenzo Braccesi, autore di questo impressionante Giulia, la figlia di Augusto, dissipa ogni dubbio, dimostrando che non di puer si trattava ma di una puella .

Cioè di una bimba, Giulia, figlia di Ottaviano e futuro Augusto. Siamo nel 39 a.C. Ottaviano, da figlio di un banchiere di Velletri, in seguito alla fortunosa vittoria nella guerra di Modena contro Antonio e al secondo triumvirato, si è trasformato in figlio del divo Cesare e assurto fra gli Iulii, discendenti di Enea e di Venere.

LA NASCITA

Quindi la povera Giulia, appena nata, fu causa di disappunto sia per il genitore che aspettava un maschio, sia per la mamma Scribonia che fu ripudiata dal marito il giorno stesso della sua nascita ma continuò a volerle bene sempre, sia nella buona che nella cattiva sorte. Ciononostante nel 37, quando aveva appena due anni, Ottaviano la fidanzò con Marco Antonio Anthyllo di anni dieci, figlio del triumviro con cui si era rappacificato nella pace di Brindisi due anni prima. A suggello di quella pace Ottaviano aveva concesso in sposa ad Antonio la sorella Ottavia da poco vedova. Il matrimonio fra Giulia e Anthyllo non fu mai celebrato perché i due triumviri ripresero presto le ostilità che sarebbero culminate con la battaglia di Azio nel 31 e la sconfitta definitiva di Antonio e Cleopatra. La piccola Giulia crebbe quindi nella casa di Augusto sul Palatino con una frotta di altri illustri pargoli, compagni di giochi e di studi. C’erano i figli che Livia aveva avuto dal precedente matrimonio: Tiberio, più grandicello e Druso appena nato.

L’EDUCAZIONE

Sia Livia che Augusto sorvegliavano la sua educazione che doveva comprendere uno stile di vita frugale e austero secondo i costumi tradizionali che lei probabilmente non capiva. Possiamo immaginare che morisse di noia almeno finchè nel 32 arrivò un’altra infornata di ragazzini. Zia Ottavia, ripudiata dal marito Marco Antonio era stata cacciata dalla sua casa e si era portata dietro ben cinque cugini: Marcello di quattro anni più grande di lei (dal primo matrimonio), due altre cugine di nome Marcella (maggiore e minore) e due Antonie avute dal marito fedifrago ora consorte di Cleopatra. Ultimo, ma destinato a diventare il primo nel suo cuore, Iullo Antonio, figlio di Marco Antonio e della sua prima moglie Fulvia. Zia Ottavia aveva allevato anche lui e se l’era portato dietro. L’anno dopo ci sarebbe stata la battaglia di Azio: suo padre si sarebbe suicidato ad Alessandria e Ottaviano, trionfante a Roma sull’Egitto, in mancanza di Cleopatra suicida, avrebbe trascinato dietro il carro trionfale, avvinti in catene d’oro (noblesse oblige!) la sorellastra Cleopatra Selene e il fratellastro Alessandro Helios figli di Antonio e Cleopatra. Il maschietto sarebbe stato ben presto tolto di mezzo, la bambina si sarebbe aggiunta alla fanciullesca brigata nella casa di colui che era adesso l’incontrastato signore del mondo.

Nelle sue res gestae Augusto dichiara di aver restaurato la Repubblica e di aver restituito il potere al popolo. Mente. E infatti, appena possibile, comincia a porsi il problema della successione dinastica. Non avendo eredi maschi dispone per la figlia matrimoni di stato uno dopo l’altro.

IL MATRIMONIO

All’età di quattordici anni Giulia va in sposa a suo cugino Marco Claudio Marcello, figlio di zia Ottavia e del suo primo marito. Gli sposi sono belli, giovani, ricchi, e hanno davanti (in teoria) un futuro radioso. Il popolo li adora ma la favola ha subito fine. Il povero Marcello muore non ancora diciannovenne. Di lui rimane a Roma il teatro che porta il suo nome e i versi commoventi di Virgilio a lui dedicati nel sesto libro dell’Eneide.

Augusto non pose tempo in mezzo e fece sposare Giulia diciottenne al suo generalissimo Marco Vipsanio Agrippa, il vincitore di Azio, maggiore di lei di venticinque anni e privo di ascendenza aristocratica, cosa indigesta per lo snobismo di Giulia. E fu allora, probabilmente, che cominciò a vivere come le andava a genio, ribellandosi alla morale ipocrita e di facciata voluta dal padre e dalla matrigna, a frequentare circoli letterari alla moda, a vestirsi in modo eccentrico e audace, a circondarsi di un codazzo di corteggiatori e a concedersi in modo spregiudicato a relazioni extraconiugali ma sempre amando al di là di flirt e relazioni passeggere il suo poeta, il suo amico d’infanzia, il suo vero amante, Iullo Antonio. In quella compagnia, fatta di intellettuali, aristocratici nostalgici della repubblica e di rivoluzionari cesariani, cominciò a tirare aria di fronda. Si sa che Iullo Antonio compose un poema incentrato sull’eroe Diomede, greco, avversario di Enea, un’anti-Eneide da contrapporre al poema nazionale commissionato a Virgilio per celebrare l’eroe troiano padre della Nazione e antenato mitico della gens Julia. Una sfida, sia pur letteraria: non è un caso che non ne sia sopravvissuto un rigo.

Intanto Giulia dava al marito nell’arco di una diecina d’anni ben cinque tra figli e figlie: Caio e Lucio Cesare, Giulia minore, Agrippina maggiore e Agrippa Postumo. A chi, scherzando, le chiedeva come mai, nonostante i suoi comportamenti non proprio morigerati, i suoi figli somigliassero tutti al padre rispondeva, con un certo sense of humor, che era solita imbarcare passeggeri solo quando la nave era carica. Nel 12 a.C Agrippa morì improvvisamente all’età di 51 anni lasciando Giulia incinta di Agrippa poi chiamato Postumo. Augusto maritò Giulia a Tiberio ma poi dichiarò suoi eredi Caio e Lucio figli di Agrippa adottandoli con il nome di Caio Cesare e di Lucio Cesare e provocando lo sdegnoso ritiro di Tiberio a Rodi. Giulia non mutò i suoi costumi né rinunciò alle sue compagnie che però, dall’opposizione di tipo letterario, cominciavano a virare pericolosamente verso l’opposizione politica per quanto velleitaria, usando lei come scudo, intoccabile in quanto non solo figlia di Augusto ma madre dei due principi imperiali.

L’ORIENTE

Molti intanto sono i segni individuati dalla investigazione di Braccesi, di una esplicita simpatia e fascinazione di Giulia per l’oriente ellenistico, tema pericolosissimo vista la fine degli analoghi entusiasmi di Marco Antonio: il suo romantico pellegrinaggio a Ilio durante un viaggio con il marito Agrippa ma anche la sua amicizia-complicità con Cleopatra Selene andata sposa intanto a Giuba II re di Mauritania ma che mai aveva dimenticato l’annientamento dei suoi genitori.

La situazione precipita d’un tratto, inopinatamente, nel 2 a.C. anno in cui l’imperatore si apprestava a celebrare il trentennale della battaglia di Azio e stava scavando un enorme bacino nel Vaticano per una rievocazione della battaglia navale. Fino a quel momento Augusto, benché irritato del comportamento della figlia, si era limitato a qualche reprimenda, a lettere di richiamo pur essendo al corrente di ogni passo e di ogni parola della figlia in pubblico e in privato ma a questo punto compie un atto di incredibile durezza e di effetto devastante nei suoi confronti.

LO SCANDALO

Non risolve, in privato, lo scandalo ma lo da in pasto all’opinione pubblica: scrive una lettera al senato per denunciare le sue ripetute violazioni della lex de adulteriis, fornisce relazioni dettagliate in cui Giulia è descritta come una prostituta e in cui i compagni di opposizione politica sono tutti trasformati in suoi amanti in convegni notturni e in orge. In virtù dei suoi poteri, con una semplice lettera la divorzia d’ufficio da Tiberio senza nemmeno avvertirlo. E’ un comportamento privo di senso se non consideriamo che sotto ci fosse qualcosa di ben più grave: una vera e propria congiura che però non poteva essere resa pubblica per l’effetto dirompente che poteva avere a livello politico. La lex de adulteriis era sufficiente a ottenere lo scopo: Giulia confinata a Ventotene con la sola compagnia della madre che scelse di seguirla, Iullo Antonio costretto al suicidio, gli altri coinvolti colpiti dalla stessa condanna capitale, il processo per adulterio condotto con le procedure per l’alto tradimento. La naumachia, non potendo più essere cancellata, fu riprogrammata come semplice spettacolo di rievocazione storica della battaglia di Salamina. Non c’era niente da celebrare. Ma come spiegare un’avventura così folle di Giulia e Iullo Antonio? Un sogno ancora più pazzo: l’Egitto era proprietà privata dell’imperatore: se gli fosse accaduto qualcosa l’avrebbe ereditato Giulia e vi avrebbe replicato l’avventura romantica di Antonio e Cleopatra con il suo innamorato sotto l’ombrello di un protettorato romano.

Così non fu. Nel frattempo le mire dinastiche di Augusto andarono frustrate: Lucio Cesare morì nel 2 d.C. e Caio Cesare nel 4 per i postumi di una ferita dopo la spedizione armena, lutti gravissimi per il nonno che si vide costretto ad adottare Tiberio. Il confino di Giulia a Ventotene fu leggermente attenuato dopo qualche anno con un suo trasferimento in una casa di Reggio ma quando Tiberio salì al potere le confiscò tutto il suo patrimonio e la costrinse in un solo ambiente dove alla fine morì nello squallore, mai dimenticata dal popolo che continuò a implorare per lei, inutilmente, clemenza.

Il libro/ “Giulia figlia di Augusto” di Lorenzo Braccesi

© RIPRODUZIONE RISERVATA