Giovanni Paolo II, il Papa che parlava
all'anima della gente anche con il corpo

Giovanni Paolo II, il Papa che parlava all'anima della gente anche con il corpo
di Franca Giansoldati
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Venerdì 19 Marzo 2010, 14:25 - Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 16:25
ROMA (19 marzo) - dalla Francia dove vive la suora guarita da Giovanni Paolo II che finalmente arrivata la notizia tanto attesa dal popolo del santo subito. I vescovi hanno rassicurato ufficialmente, con tanto di nota dettagliata, che la miracolata in perfetta salute e non ha pi avuto nessuna ricaduta dal Parkinson, il male che l’aveva colpita dieci anni fa. Cosa non da poco, poich viene messa la parola fine ai dubbi di natura medica che avevano rallentato il lavoro della Consulta alla Congregazione dei Santi, un organismo all’interno del quale quattro medici specialisti sono impegnati a fare accertamenti.



La genuinità della guarigione scientificamente inspiegabile, il miracolo appunto, costituisce un passaggio necessario per procedere alla beatificazione. Papa Wojtyla, il beniamino delle folle, cammina dunque verso la santità mentre la sua poliedrica figura non smette di essere analizzata, sminuzzata, studiata. L’ultimo saggio in uscita in questi giorni per i tipi delle Paoline, ”Giovanni Paolo II, il Papa che parlava alla gente”, 144 pp, 16 euro, scritto da Sabina Caligiani, analizza il lungo percorso umano dal punto di vista della comunicazione. Le straordinarie doti del Papa polacco hanno via via delineato una vera e propria teologia corporea. Ma forse non poteva che essere così.



Wojtyla da giovane amava il teatro, ha calcato le scene durante gli anni universitari, scrivendo in seguito persino opere teatrali ben accolte dalla critica. In poche parole egli aveva una elevata consapevolezza dell’aspetto sensoriale della sua persona. Come mette in luce l’autrice, guardava dritto negli occhi gli interlocutori, chiunque essi fossero, ne sapeva scrutare gli animi, non aveva timori a mostrarsi, nemmeno nella fase dell’infermità. «Olfatti, vista, udito e tatto, ogni senso era da lui usato». Quante volte ha mandato in fibrillazione il Prefetto della Casa Pontificia, il cardinale Monduzzi prima e monsignor Harvey poi, rompendo la rigidità del protocollo. Insomma, ha saputo gettare le basi per una teologia della corporeità che difficilmente un altro pontefice saprà mai riproporre tanto efficacemente. Non si sottraeva alle telecamere, dialogava apertamente coi giornalisti, si fermava incuriosito a fare domande alla gente che incrociava sul suo percorso.



Agli inizi del pontificato, le visite alle parrocchie di Roma, diventavano una maratona estenuante per il suo entourage, abituato agli incontri misurati di Papa Montini. Con Wojtyla erano tutti costretti a stargli al passo per interi pomeriggi. Durante una udienza generale, in Vaticano, sorprese i presenti con una frase: il «corpo e soltanto esso è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino». Questo è stato il suo punto di forza. «Il fatto che la teologia comprenda anche il corpo non deve meravigliare nè sorprendere nessuno che sia cosciente del mistero e della realtà dell’incarnazione. Per il fatto che il Verbo di Dio si è fatto carne, il corpo è entrato, direi, attraverso la porta principale, nella teologia, cioè nella scienza che ha per oggetto la divinità».



Un’altra volta, rivolgendosi ai giovani che sedevano sugli spalti dell’Arena di Verona, ricordò che l’uomo sa parlare col suo corpo e proprio per questo il corpo diventa un linguaggio. «E il linguaggio serve a manifestare sempre una Verità». È così ha fatto ingresso nei concetti teologici la fisicità del corpo umano, senza meravigliare nè scombussolare più di tanto i benpensanti specie quando, per esempio in Africa o in Oceania, non esitava ad abbracciare bambini mezzi nudi, stringere le mani a donne coi seni scoperti, vestite solo con gonnellini e teli colorati. Forse è anche per questa spontaneità che le persone “lontane” lo hanno amato tanto.




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