Per fortuna a Maugham è andata meglio. E se ben pochi aprono ancora Liza di Lambeth, Schiavo d’amore o La luna e sei soldi, che pure furono tra i romanzi più venduti in Inghilterra all'inizio del secolo scorso, non è raro trovare chi apprezza i racconti che, a detta di molti commentatori, racchiudono un mondo di tesori nascosti. Piacciono di Maugham la raffinatezza formale, l’intelligenza con la quale rivisita la lezione di Maupassant, il gusto tutto britannico per un ironico understatement, la capacità di capovolgere con un colpo di genio le situazioni per ottenere il massimo effetto dall’imprevisto. Queste caratteristiche si ritrovano per intero nelle vicende riunite in Honolulu nelle quali Maugham visita luoghi esotici come (Malesia e Polinesia) o si sofferma sul variopinto universo dei funzionari coloniali, analizzando le ipocrite certezze di una borghesia britannica persuasa che l’idillio vittoriano sia destinato a protrarsi in eterno. In ogni circostanza l’atteggiamento dello scrittore resta sempre improntato a un sano realismo psicologico che ben si riassume nelle parole di uno dei personaggi: “Se accettare la natura umana per quello che è, sorridendo quando è incomprensibile e soffrendo senza prendersela troppo quando si rivela meschina significa essere cinici, allora ritengo di essere tale”. In materia di cinismo Maugham era un esperto, come hanno chiarito senza incertezze i numerosi biografi che lo hanno giudicato unanimi tra gli uomini più malvagi e detestati del suo tempo.
Un critico di recente lo ha definito “un Re Mida della letteratura che molti ammiravano, nessuno amava e tutti detestavano”, ricordando poi che non fece mai nulla per proporsi in una luce favorevole. Leggendario, in proposito, il comportamento astioso mostrato nei confronti della figlia Liza, nata da un breve matrimonio presto finito a causa della sua omosessualità. Maugham era odiato al punto che nel 1954, quando l’editore Heinemann decise di pubblicare una raccolta di saggi in suo onore in occasione dell’ottantesimo compleanno non riuscì a trovare un solo intellettuale di lingua inglese disponibile a offrire il proprio contributo. I malvagi e i falliti hanno largo spazio nei nove racconti riuniti in Honolulu, composti a partire dal 1920, dove i personaggi si muovono in ambienti esotici di struggente bellezza ma portano incise nell’anima profonde ferite e covano una frustrazione che ha spesso effetti dirompenti. Con il risultato che il lettore vede inevitabilmente andare in pezzi le identità apparenti dei protagonisti, intrappolati in lividi e rovinosi rapporti gerarchici tra l’Asia e i Caraibi, in furenti ricatti incrociati o tradimenti destinati a finire in tragedia. E’ stato Flaubert a dire che bisogna essere dei veri artisti per poter descrivere il nulla ospitato nella testa di uno sciocco. Maugham anche in Honolulu e in gran parte della suo testi brevi riesce nell’impresa, mostrandosi degno erede dei grandi narratori francesi del secolo scorso e tra i pochi in Europa capaci di raccogliere l’eredità di Maupassant. Del resto sono proprio racconti come questi che gli permettono di figurare ancora in degna posizione tra gli autori di seconda categoria, un ruolo che i romanzi, ormai francamente impolverati dal tempo, non gli consentirebbero più di ricoprire.
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