Adelphi rilancia Honolulu,
il libro di Maugham amato da Marquez

William Somerset Maugham al lavoro
di Roberto Bertinetti
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Lunedì 31 Gennaio 2011, 16:10 - Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 16:18
ROMA - Sulla propria posizione nell’ambito della letteratura britannica del Novecento aveva idee chiarissime. “So esattamente dove mi colloco: nelle prime file della seconda categoria”, spieg nel 1928 in un testo autobiografico. Ma se mezzo secolo fa erano alcuni romanzi un tempo molto popolari che consentivano a William Somerset Maugham di in­sediarsi alla testa dei minori di genio, oggi il nome di questo scrittore scomparso quasi novantenne nel 1965 è legato soprattutto ai trecento racconti composti nel corso di una lunga e fortunata car­riera di cui l’Adelphi propone ora una scelta (Honolulu, pagg. 237, euro 18) privilegiando le storie di ambientazione esotica. “Maugham - rilevava qualche tempo fa Gabriel Garcia Marquez - ha avuto un destino ingiusto come è capitato ad altri scrittori altrettanto importanti che per un momento ci sembrarono addirittura grandi per­ché ci piacquero come se lo fossero. Uno di questi è Aldous Huxley, che oggi le giovani generazioni in qualsiasi paese non hanno nem­meno sentito nominare. I giovani sarebbero sorpresi nel sapere che per almeno un decennio Punto contro punto di Huxley è stato considerato un’opera fondamentale della letteratura contemporanea e che nessuno che voleva essere o apparire colto osava ammettere di non aver letto. La sua predestinazione all’oblio ebbe una conferma che sfiora il soprannaturale: Huxley morì lo stesso giorni in cui fu assassinato John Kennedy e la notizia finì sepolta nel cimitero dei dimenticati”.



Per fortuna a Maugham è andata meglio. E se ben pochi aprono ancora Liza di Lambeth, Schiavo d’amore o La luna e sei soldi, che pure furono tra i romanzi più venduti in Inghilterra all'inizio del secolo scorso, non è raro trovare chi apprezza i racconti che, a detta di molti com­men­tatori, racchiudono un mondo di tesori nascosti. Piacciono di Maugham la raffinatezza formale, l’intelligenza con la quale rivisita la lezione di Maupassant, il gusto tutto britannico per un ironico understatement, la capacità di capovolgere con un colpo di ge­nio le situazioni per ottenere il massimo effetto dall’imprevisto. Queste caratteristiche si ritrovano per intero nelle vicende riunite in Honolulu nelle quali Mau­gham visita luoghi esotici come (Malesia e Polinesia) o si sofferma sul variopinto universo dei funzionari coloniali, analizzando le ipocrite certezze di una borghesia britannica persuasa che l’idillio vittoriano sia desti­nato a protrarsi in eterno. In ogni circostanza l’atteggiamento dello scrittore resta sempre improntato a un sano realismo psicologico che ben si riassume nelle parole di uno dei personaggi: “Se accettare la natura umana per quello che è, sorridendo quando è incomprensibile e soffrendo senza prendersela troppo quando si rivela meschina significa essere cinici, allora ritengo di essere tale”. In materia di cinismo Maugham era un esperto, come hanno chiarito senza incertezze i numerosi biografi che lo hanno giudicato unanimi tra gli uomini più malvagi e detestati del suo tempo.



Un critico di recente lo ha definito
“un Re Mida della letteratura che molti ammiravano, nessuno amava e tutti detestavano”, ricordando poi che non fece mai nulla per proporsi in una luce favorevole. Leggendario, in proposito, il comportamento astioso mostrato nei confronti della figlia Liza, nata da un breve matrimonio presto finito a causa della sua omosessualità. Maugham era odiato al punto che nel 1954, quando l’editore Heinemann decise di pubblicare una raccolta di saggi in suo onore in occasione dell’ottantesimo compleanno non riuscì a trovare un solo intellettuale di lingua inglese disponibile a offrire il proprio contributo. I malvagi e i falliti hanno largo spazio nei nove racconti riuniti in Honolulu, composti a partire dal 1920, dove i personaggi si muovono in ambienti esotici di struggente bellezza ma portano incise nell’anima profonde ferite e covano una frustrazione che ha spesso effetti dirompenti. Con il risultato che il lettore vede inevitabilmente andare in pezzi le identità apparenti dei protagonisti, intrappolati in lividi e rovinosi rapporti gerarchici tra l’Asia e i Caraibi, in furenti ricatti incrociati o tradimenti destinati a finire in tragedia. E’ stato Flaubert a dire che bisogna essere dei veri artisti per poter descrivere il nulla ospitato nella testa di uno sciocco. Maugham anche in Honolulu e in gran parte della suo testi brevi riesce nell’impresa, mostrandosi degno erede dei grandi narratori francesi del secolo scorso e tra i pochi in Europa capaci di raccogliere l’eredità di Maupassant. Del resto sono proprio racconti come questi che gli per­mettono di figurare ancora in degna posizione tra gli autori di seconda categoria, un ruolo che i romanzi, ormai francamente impolverati dal tempo, non gli consentirebbero più di ricoprire.
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