Civitavecchia: «Perché tanti sanitari positivi? I tamponi sono iniziati tardi»

Gli operatori sanitari in attesa di essere sottoposti al tampone all'esterno del San Paolo (Foto Giobbi)
di Pierluigi Cascianelli
3 Minuti di Lettura
Lunedì 6 Aprile 2020, 11:12
Emergenza covid-19, fari puntati sul San Paolo. In questi giorni sulla bocca di tanti, quasi tutti, in città e nel comprensorio c'è la condizione critica in cui versa l'ospedale di Civitavecchia. In realtà se ne parla anche alla Regione. L'assessore alla Sanità Alessio D'Amato ha recentemente piazzato proprio Civitavecchia in testa alla preoccupante classifica delle città con l'incidenza più elevata del virus nel Lazio. Dapprima dopo il cluster alla Rsa Madonna del Rosario, fu il focolaio al reparto di Medicina a mettere in guardia, ora il virus si è propagato a gran parte della struttura, tanto che è perfino circolata la voce di una chiusura temporanea del San Paolo, ipotesi però seccamente smentita dalla Asl stessa. Ad aumentare nervosismo e timori, l'audio wattshapp di una presunta dipendente della Roma 4 che ha fatto il giro del web e che dipinge una situazione a dir poco drammatica.
IL PARERE DA DENTRO
Tanta carne al fuoco, insomma e una situazione obiettivamente difficile, visto che ad oggi gli operatori sanitari infettati al San Paolo risultano ben 47, senza contare i pazienti. Ma che ne pensa chi all'ospedale lavora, cioè il chirurgo Marco Benedetti , che è anche nella direzione nazionale dell'Anaao Assomed, il sindacato dei medici? Si parte dall'attualità, legata ai tamponi. «Io l'ho fatto tre giorni fa, sono in attesa dell'esito dice finalmente la Asl Roma4 si è convinta a effettuarli a tappetto in tutto l'ospedale, cosa che chiedevamo da tempo». La situazione però sembra ormai sfuggita di mano. «Certo, il recupero sarà lento e difficile aggiunge Benedetti . Io sono in Chirurgia, una sorta di isola felice, nel senso che credo sia l'unico reparto della struttura a non avere casi di Covid-19. Ma il virus ci sta ormai girando intorno e potrebbe essere solo questione di tempo. Speriamo bene». I numeri e i contagi già accertati però preoccupano molto. «Gli operatori sanitari positivi - afferma il chirurgo/sindacalista - sono molti. E' chiaro che c'è un problema importante da risolvere. Per questo motivo ho chiesto alla Asl di costituire una commissione d'inchiesta, composta ovviamente da profili esterni, in grado di procedere a un'indagine che valuti su procedure e percorsi messe in atto per il personale e non solo».
SOTTOVALUTAZIONE
Ma le testimonianze giungono anche da altre unità in prima linea. O meglio, che lo erano fino a qualche giorno fa. Due infermiere, risultate entrambe positive, confessano le loro impressioni ed esperienze sul campo durante una difficile fase di isolamento domiciliare. Pur dovendo rimanere, per forza di cose nell'anonimato, dato che non hanno copertura sindacale: «C'è stata sottovalutazione da parte di chi doveva gestire un'emergenza complessa come questa raccontano -. Portiamo alcuni esempi. Nel nord Italia i primi casi sono avvenuti a inizio febbraio. Noi ci siamo mossi tardi. Le mascherine, quelle chirurgiche, le abbiamo cominciate a indossare soli i primi di marzo. Quelle Ffp2 diversi giorni dopo, quelle Ffp3 anche, ma solo sui pazienti molto sintomatici. Inoltre i dispositivi, che comunque non erano sufficienti, non li abbiamo utilizzati inizialmente su tutti i pazienti dell'ospedale, ma solo su quelli positivi al covid-19. Guarda caso di lì a pochi giorni ci siamo ritrovati contagiati in tanti». Intanto la quarantena forzata è durissima: «Ci sentiamo fra colleghi tutti i giorni, è davvero frustrante non poter essere operativi, soprattutto adesso che c'è grande bisogno. Non vediamo l'ora di ritornare a lavoro, nuovamente in prima linea per combattere questo terribile virus».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA