Attivista gay ucciso e fatto a pezzi, la confessione di Ciro dal carcere: «Non l’ho decapitato, la testa è nel garage»

Attivista gay ucciso e fatto a pezzi, la confessione di Ciro dal carcere: «Non l’ho decapitato, la testa è nel garage»
di ​Mary Liguori
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Lunedì 14 Agosto 2017, 12:39 - Ultimo aggiornamento: 12:49

«Giuro che non l’ho decapitato: la testa è nel garage. Di’ ai carabinieri di continuare a cercare là sotto»: dal carcere Ciro Guarente mostra qualche segno di cedimento. E lo fa quando incontra la sua mamma che, nei due mercoledì successivi all’arresto, è andata al colloquio in carcere. Da quando la sua famiglia è piombata nell’incubo innescato da Ciro, la donna è in stato di choc. «La madre è distrutta, - raccontano i vicini di casa - e implora suo figlio di dire tutta la verità perché pensa all’altra mamma, quella di Vincenzo, al quale Ciro ha tolto la vita». Così l’assassino del 25enne di Parete avrebbe ceduto di fronte alla mamma dicendole che la testa della sua vittima si trova nello stesso garage abusivo dove ha murato il cadavere della vittima dopo averlo fatto a pezzi.
 


La notizia è arrivata agli investigatori, infatti la settimana scorsa c’è stata una nuova ispezione nel box degli orrori e altre potrebbero essercene nei prossimi giorni. A via Scarpetta, a Ponticelli, nella periferia orientale di Napoli, c’è tanta voglia di parlare. Il rione vomita informazioni che in parte sono confluite nel fascicolo della procura di Napoli Nord, in parte sono rimaste sospese sulle labbra di chi non vede l’ora che il box degli orrori venga dissequestrato e che i carabinieri vadano via lasciando, di nuovo, il campo libero alle attività illegali che si svolgono quasi alla luce del sole.

«La Renault Capture di Ciro è stata ferma per un giorno e una notte davanti alla statua della Madonna, credo che il corpo di quel povero ragazzo fosse ancora chiuso nel cofano perché solo dopo è iniziato il viavai di Ciro dai garage». Un testimone riferisce dunque particolari che, se fossero veri, chiarirebbero quegli ultimi aspetti che ancora avvolgono la vicenda nel mistero. Da un lato il giallo del cadavere al quale manca la testa, dall’altra la fase di occultamento e soppressione del corpo della vittima, una macabra scelta alla quale Guarente avrebbe fatto ricorso convinto che nessuno avrebbe scoperto tutto ciò che aveva fatto.

«Guarente è venuto qui a Ponticelli il giorno 8 luglio. La sua macchina è stata ferma sotto l’edicola votiva della Madonna per un giorno e mezzo, mentre lui andava a casa di alcuni pregiudicati. Sembrava sconvolto, forse non sapeva cosa fare. Ma si è rivolto alle persone sbagliate e ora sta più inguaiato di prima - aggiunge l’uomo - Se fosse andato da persone perbene gli avrebbero detto di andarsi a costituire, invece loro gli hanno consigliato di fittare il box e lui, che prima che accadesse tutto questo sembrava un bravo ragazzo, ha fatto come dicevano loro». «A quel punto è andato dal gestore abusivo dei box sotto il mercatino e gli ha chiesto di poter usare uno dei garage, ha pagato 50 euro», spiega l’uomo.

Il racconto del testimone che accetta di parlarci rafforza la tesi di un complice che ha aiutato Ciro a distruggere il corpo nel garage: «qui non ci sono mai controlli - spiega il testimone - e Guarente deve aver pensato che seguendo il loro consiglio l’avrebbe scampata. Lo hanno aiutato». 
In effetti, la procura ha individuato un complice, colui che ha fornito la pistola all’assassino, ma non risponde della soppressione e dell’occultamento del cadavere. Il 51enne bloccato due giorni fa è accusato di concorso in omicidio e cessione di armi. L’arresto del complice di Guarente, Francesco de Turris, è stato accolto con sollievo dagli abitanti della zona.
Un personaggio scomodo e molesto, il 51enne che ha fornito e poi distrutto la pistola con la quale Ciro ha assassinato l’attivista gay.
Tant’è che, dopo che si è diffusa la notizia dell’arresto, solo suo figlio ha avuto per lui incitanti quanto inopportune parole di incoraggiamento. «Ritorneremo più forti di prima», ha scritto, su Facebook, il ragazzo. Un pensiero che si commenta da sole, ma che ha puntualmente scatenato il web, dove gli amici e i familiari della vittima hanno sfogato la loro rabbia.

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