"Volevo cancellare gli ultimi sei anni della mia vita". Per questo un divorzio non sarebbe bastato. A Carlo Lissi serviva un reset completo: via la moglie che non amava più, ma via anche i due bambini.
Tendenza Latella
di Maria Latella
Motta Visconti: quando il Narciso uccide
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Sabato 21 Giugno 2014, 16:41
Con un divorzio e una famiglia abbandonata non sarebbe più stato il Carlo Lissi perfetto e ammirato.
Ci si aspetta un uomo deturpato dal male, su cui riconoscere anche fisiognomicamente i tratti dalla crudeltà. E invece ti trovi davanti un trentaduenne dall'aspetto curato, sportivo. Un everyman incensurato. Laureato in economia e commercio, impiego da informatico. Un uomo che immaginiamo franare nella disperazione, una volta riemerso dal raptus omicida. Invece no. Confessa l'atrocità del delitto motivandolo, lucido, come l'opzione più rapida ed economica verso il progetto di una nuova vita che semplicemente non contemplava più moglie e figli.
"L'incarnazione della più assoluta banalità del male", diremmo con le parole di Hannah Arendt. E' il 1961. Gerusalemme. La Arendt, filosofa ebrea tedesca, si trova a assistere come inviata del New Yorker al processo di Adolf Heichmann, il gerarca nazista responsabile dell'intera organizzazione per la deportazione degli ebrei in Europa. In fondo si era occupato di "trasporti", tenne a precisare lo stesso Heichmann (poi condannato e impiccato) nella sua arringa difensiva. La Arendt lo descrive come un uomo insignificante, un mediocre per il quale attenersi agli ordini era più importante di conoscere la sorte di quei milioni di ebrei. "Eichmann era tutto fuorché anormale: era questa la sua spaventosità", scriveva stupefatta la Arendt.
Dobbiamo alla regista tedesca Margarethe von Trotta il film su Hannah Arendt che si conferma ottima occasione per riflettere su una costante inquietudine che grava sugli esseri umani. Qual è la genesi del male. Dalla Banalità del male che la filosofa ha scritto nel 1963 a proposito del caso Eichmann emergono teorie che a molti sono sembrate oltraggiose. Ma la banalità sta qui, nel constatare che la mediocrità dei carnefici non coincide con la profonda malvagità delle loro azioni. Perché la malvagità non ha nulla di radicale, di interiore, innato e profondo. Il male è piatto, proprio perché deriva dalla mancanza di pensiero. Il male è ignoranza, e viene attuato da uomini comunissimi, in maniera inconsapevole perché incapaci di valutare la responsabilità di quelle azioni.
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