Superstar
di Gloria Satta

La gaffe di Ruffini sulla Loren e l'arte perduta di intrattenere con eleganza

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Venerdì 13 Giugno 2014, 21:12
Tiene banco sui social network un episodio che ha movimentato l’ultima edizione dei David di Donatello. E’ il momento in cui il presentatore Paolo Ruffini, forse pensando di essere al bar con quattro amici livornesi anziché in diretta Rai durante l’assegnazione dell’Oscar italiano, ha così apostrofato Sofia Loren: “Lei è ancora una topa meravigliosa”. La signora, ottant’anni a settembre, non ha gradito, tant’è che ha fulminato il comico toscano (che avrebbe poi inanellato una serie di gaffe anche con Bellocchio e Mastadrea) con un paio di battute taglienti: “Io non la conosco e non capisco il suo dialetto”. E giù dibattito. Molti giornalisti, me compresa, hanno condannato il cattivo gusto di Ruffini. Gli autori della trasmissione si sono difesi: con la sua battuta “scorretta” il comico toscano avrebbe svecchiato una cerimonia imbalsamata. Il direttore di Raiuno ha chiesto scusa alla Loren via twitter. E Ruffini ha detto che quella frase, dalle sue parti, è un complimento e lui non deve chiedere scusa a nessuno, tanto più che era stato chiamato per vivacizzare la cerimonia. Come la penso l’ho scritto e lo ribadisco qui: la battuta di Ruffini era completamente fuori luogo e fuori contesto. Non spacciamo la maleducazione per simpatica irriverenza. Ci sono mille modi per vivacizzare la consegna di un premio, un evento di per sé noiosissimo. Il meno indicato è però rivolgere battute becere all’indirizzo della più importante attrice italiana, una signora avanti con gli anni che tra l’altro poche ore prima, al Quirinale, aveva ricevuto il baciamano del Presidente Napolitano. In attesa delle vostre opinioni, vorrei aggiungere che la colpa non è di Ruffini ma di chi lo ha scelto per presentare i David: quello è il personaggio, sull’umorismo sboccato ha costruito una carriera e se lo ingaggi non puoi aspettarti che diventi di colpo un gentiluomo che parla forbito rinunciando al suo “marchio di fabbrica”. E poi, permettetemi uno sfogo finale: quando sento parlare di svecchiamento, alleggerimento, dissacrazione ho voglia di mettere mano alla pistola. Troppo spesso questa “esigenza” (esigenza?) serve a legittimare mancanza di professionalità, superficialità e volgarità a buon mercato. La forma non è un'opinione... Quando rivedo i vecchi varietà in bianco e nero mi viene un moto di nostalgia mischiata con la rabbia: quelle Canzonissime di una volta, Mina vestita di paillettes che interpretava i siparietti con Sordi o Mastroianni, gli sketches di giganti come Panelli e Valori, i fastosi balletti (e non aggiungo altro, sapete benissimo di che parlo) dimostrano che si può essere leggeri, divertenti e originali con eleganza, sulla base di qualche buona idea e del talento di chi sta in scena. Già, ma stiamo parlando di un’era geologica fa, quando la Rai per catturare il pubblico non aveva bisogno di importare format stranieri o di comici sboccati. Voi che ne pensate?
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