Quest'America
di Anna Guaita

Se tutte le luci si spegnessero, come 50 anni fa

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Sabato 21 Novembre 2015, 21:45 - Ultimo aggiornamento: 4 Novembre, 04:39
 
E' difficile immaginare cosa sia una città quando tutte le luci si spengono. Nella vita mi è capitato due volte di camminare in una grande città interamente precipitata nel buio: a San Francisco dopo il terremoto del 1989, e a New York nel 2003 dopo il grande black out del 14 agosto.

Il buio totale è qualcosa a cui non siamo abituati. Se non c'è un po' di luna che faccia chiarore non si vede proprio nulla. Non si vede il marciapiede, non si vede il cassonetto dell'immondizia, non si vedono i pali dei segnali stradali o gli alberi. E' sconcertante e terribilmente pericoloso.

Dal 2003 ad oggi ci sono stati altri incidenti che hanno causato blackout: c'è stato l'uragano Katrina a New Orleans nel 2005, ci sono stati due uragani su New York, Irene nel 2011 e Sandy nel 2012. Sandy non solo precipitò una parte di Manhattan nel buio ma causò un totale blackout anche in due terzi del confinante Stato del Connecticut e in una buona parte del New Jersey.

Eppure questi sono stati scherzetti paragonati al "Grande Blackout del Nord-Est" di cui in questi giorni cade il 50esimo anniversario. Il "grande buio" del 9 novembre del 1965 interessò New York, altri sette Stati e parte del Canada. E' il peggiore della storia (anche se quello del luglio del 1977 è ricordato con maggiore amarezza, perché fu segnato da saccheggi, incendi e criminalità).

Proprio in occasione di questo 50esimo anniversario, esce un libro che ci deve fare riflettere sia qua negli Stati Uniti sia in Europa. Il libro, Lights out, è firmato da Ted Koppel, uno dei più noti giornalisti televisivi americani degli ultimi decenni, per 25 anni alla guida del programma serale Nightline, dedicato ad analisi e commenti di politica estera.

Koppel non è certo un survivalist imbevuto di idee complottiste. E tuttavia il libro ci espone i rischi di un possibile attacco informatico contro la rete elettrica degli Stati Uniti. Koppel ha parlato con in massimi esperti di sicurezza degli Stati Uniti, e si è sentito dire dalla ex segretaria della sicurezza nazionale, Janet Napolitano, che un attacco di questo tipo è probabile all'80%. Contrariamente a quelle che si crederebbe, tuttavia, a condurre un simile attacco non sarebbero né la Russia né la Cina, due Paesi che potrebbero farlo anche ora se solo volessero.  Gli esperti sono convinti che nè l'una nè l'altra avrebbero l'interesse geopolitico di creare un simile catastrofico incidente. Molto più interessati sarebbero - e presto potrebbero essere in grado di farlo - i Paesi cosiddetti canaglia, come la Corea del Nord.

La preoccupazione di Koppel, naturalmente, non è solo il blackout di una città. La sua preoccupazione è che un attacco cibernetico metta in ginocchio se non tutta almeno una parte della rete elettrica degli Stati Uniti. Siccome solo il 12% dell'output elettrico di questo Paese viene da cooperative locali non connesse al grid nazionale, un attacco gestito da hackers particolarmente astuti e malevoli potrebbe effettivamente causare la paralisi di una grande parte del Paese. E la paralisi elettrica vorrebbe dire avere decine di milioni di cittadini precipitati in un buio primitivo, un Paese che si troverebbe di colpo senza semafori, senza negozi, senza frigoriferi, senza banche e ospedali, cellulari e tv, passaggi a livello e ascensori. Fino a quando il governo federale non riuscisse a sistemare la situazione, le aree colpite precipiterebbero in una situazione estremamente drammatica.

Non posso dire di credere appieno alle parole di Koppel. Ho un certo sospetto che le sue paure siano esagerate. Ma ho visto - e ho già scritto di questo per il sito del giornale, qui - che molta gente ragionevole e per nulla complottista e paranoica teme simili eventi. Il Dipartimento della sicurezza nazionale ci assicura di avere dei piani per proteggere il Paese nel caso venisse un attacco catastrofico alle infrastrutture elettriche. Spero sia vero.

Nonostante i miei dubbi sulle possibilità di un attentato cibernetico che ci faccia precipitare nel medioevo, e nonostante le mie speranze che il governo federale sia davvero premunito contro simili possibilità, penso comunque che il suggerimento di Koppel sia saggio. Senza andare a scavarsi un tunnel nel deserto del Nevada, tutti dovremmo avere in casa il necessario per resistere se dovesse saltare la luce elettrica, e non solo nell'ipotesi che avvenga per un attacco terroristico. Abbiamo visto dopotutto che gli uragani possono essere malevoli quanto e come i più truci terroristi.

Il libro di Koppel forse aumenterà un po' la paranoia generale, ma spero anche che induca la gente a mettersi in casa una radio a batterie, qualche candela, un po' di cibo in scatola, acqua potabile e medicinali salvavita a sufficienza per una settimana. 

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