Anna Guaita
Quest'America
di Anna Guaita

I millennials tornano a casa

di Anna Guaita
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Sabato 16 Giugno 2018, 23:14 - Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 21:21


NEW YORK – Addio New York. Addio Chicago, Los Angeles, Seattle.

Ben ritrovate Indianapolis, Pittsburgh, Madison, Columbus.   

I 25-35enni, i cosiddetti Millennials, stanno diventando dei boomerang. Dopo aver lasciato le loro cittadine per i college della East e West Coast, dopo aver trovato lavoro nelle megalopoli, e magari avervi anche trovato l’amore e aver cominciato a metter su una famiglia, ora riscoprono le loro radici.

Un esodo all’incontrario riporta migliaia di americani trentenni verso le “second tier cities”, città con meno di un milione di abitanti, che fino a un passato molto recente erano considerate poco “cool”.  Ma molte di queste città si sono reinventate, e oggi esercitano un fascino quieto ma costruttivo. Lo scrittore James Fallows ha soprannominato il profondo cambiamento che ha trasformato questi centri “la reinvenzione dell’America”.

Davanti al fatto che molte aree urbane continuano a soffrire della crisi economica, e alcune città non riescono a risollevarsene, la “reinvenzione” troppo spesso viene dimenticata. I millennials invece l'hanno notata, e con entusiasmo hanno scelto di farne parte.

Perché – si sono chiesti – pagare cifre stratosferiche per vivere in minuscoli appartamenti a New York, se la mia vecchia città oggi mi offre lavoro, servizi, nuove aree residenziali, verde pubblico, sicurezza? Ognuna di queste città per di più ha anche un carattere, una storia, che pochi decenni fa magari induceva al pianto, ma oggi parla di sviluppo e futuro: le vecchie aree industriali abbandonate dopo la crisi manufatturiera e ridotte in condizioni fatiscenti sono state salvate, riconvertite in centri commerciali, musei, scuole, centri di conferenze, alberghi.

Il “ritorno” al nido della prima generazione dell'era digitale è un fenomeno abbastanza evidente, ed è stato definito una “migrazione alla rovescia” in uno studio della Brookings Institution, basato sull’ultimo censimento. Quel che è evidente è che la migrazione di questi “boomerang” è potuta avvenire perché è anche cambiata la natura del lavoro. Se infatti oggi il mercato non garantisce ai lavoratori la stabilità di una volta, non ne richiede però neanche la stanzialità. Molti degli impieghi del settore high-tech possono essere compiuti a distanza. E comunque l’esclusiva del settore non appartiene più solo a Silicon Valley: proprio in queste second tier cities si moltiplicano le start-up, sia per i costi più bassi, sia perché – appunto – vi diventa più facile trovare personale altamente qualificato, cioé quei boomerang che lasciano New York ecc.

Madison nel Wisconsin, Indianapolis nell’Indiana, Pittsburgh nella Pennsylvania, Louisville nel Kentucky, sono inoltre esempi di boom delle cosiddette “industrie avanzate”, le industrie di punta che negli anni di Barack Obama furono sostenute in quanto giudicate «componenti centrali della rivitalizzazione della economia americana». Sono industrie che operano nei settori robotica, aerospaziale, energia, tecnologia per applicazione medica, di fatto concentrate sul “R&D” (research and development) che hanno bisogno di manodopera qualificata, i cosiddetti “STEM workers” (dipendenti preparati in “Science, Technology, Engeneering, Mathematics”). Sono il fiore all’occhiello dell’economia Usa. Louisville ha da sola assicurato 70 mila nuovi posti di lavoro nell’arco degli ultimi sei anni.

Insomma: si torna a casa, sapendo di trovarvi lavoro qualificato. Ma anche altro. Dopo gli anni di gavetta nelle megalopoli, i trentenni vogliono anche provare un senso di appartenenza, riprendere possesso della propria storia, godersi la vicinanza della propria famiglia e degli amici dell’infanzia. E poi, sfruttare la possibilità di farsi sentire.

Dopo aver studiato e vissuto 10 anni a Chicago, la 28enne Sarah, specializzata in pianificazione aziendale, è tornata a Louisville. A parte il lavoro, una casa più grande e la vicinanza dei genitori, si dice felice anche perché «c’è modo di partecipare alla vita pubblica». A Chicago, come nelle altre grandi città, è difficile partecipare, trovare il tempo e il modo: «Qui, a Louisville – dice – non mi sento intimidita, posso prendere parte alle iniziative della comunità, dire la mia e sapere che sono ascoltata».

Max, un 37enne esperto di marketing, ha invece lasciato Los Angeles per St. Louis, nel Missouri, dopo un’assenza di 15 anni. Lavora per due aziende lontane ciascuna quasi mille chilometri, una nel Wisconsin e una nell’Ohio: «Quando ho capito che potevo lavorare dovunque avessi voluto – spiega – è nato in me il desiderio di vivere in un posto dove so di essere benvenuto. E qui, nella mia città natale, mi sento benvenuto. Lo so che la mia migrazione alla rovescia è parte di un trend. Ma per me è una scelta semplice: sono tornato a casa».

 

 
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