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Quando la discriminazione è anche fra italiani

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Giovedì 19 Gennaio 2012, 21:18
Gli aiuti in farmacia per i neonati triestini “doc”, i punti in più per gli asili nido ai genitori nati a Ciampino. E, insieme, la campagna di controlli a Roma solo contro le frutterie etniche, e il divieto di rilevatori stranieri preteso da molti comuni per il censimento. Il direttore generale dell'Unar Massimiliano Monnanni racconta le sue giornate. Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali da ripensare, era il titolo dell'ultimo post. Una struttura da due milioni di euro l'anno, per raccogliere 1000 segnalazioni, ci sembrava ridondante: contro il razzismo occorre muoversi di più e meglio. Ma non si può lanciare il guanto d'accusa, senza sentire poi le ragioni dell'Unar. Così sono andato a trovare il direttore, Massimiliano Monnanni, 45 anni, al quinto piano di un palazzo della Presidenza del Consiglio a Largo Chigi, proprio sopra la Galleria Sordi. E Monnanni ha fornito un quadro molto più ricco dell'attività dell'Ufficio. Non le paiono poche, quelle segnalazioni? “Le parole pronunciate dal ministro Andrea Riccardi nella sua audizione alla Camera sono state male interpretate dai media. Non si tratta di semplici segnalazioni pervenute al nostro contact center, ma di complete istruttorie amministrative da noi compiute sulla base delle notizie di discriminazione che ci sono pervenute, oppure aperte da noi in via autonoma (le cosiddette istruttorie d'ufficio). Procedimenti complessi, che comportano approfonditi pareri giuridici, contatti con diversi soggetti istituzionali, dalla Polizia postale all'Agcom, dalle regioni agli enti locali”. Può fornire qualche altra cifra che ci faccia capire meglio? “Sono 145 i procedimenti giudiziari scaturiti da istruttorie aperte dall'Unar e li monitoriamo dall'inizio alla fine, assistendo le vittime, dialogando con i legali, fornendo assistenza specialistica ai giudici, non sempre ben informati in materia di antidiscriminazione. Oltre al contrasto, poi, facciamo prevenzione: 300 interventi nelle scuole nella settimana contro la violenza e 100 in quella contro il razzismo. E inoltre interventi formativi nelle province e nelle regioni, e una quantità enorme di pareri e di raccomandazioni. Il tutto con 16 dipendenti pubblici, rispetto ai 26 previsti in organico. Vorrei chiarire, poi, che il costo della struttura non grava sui cittadini, ma sul fondo di rotazione dell'Unione europea””. Qual è il caso di cui vi state occupando in questi giorni? “L'azione contro le frutterie etniche, disposta a Roma dall'Ufficio del delegato del sindaco per le politiche della Sicurezza che chiede alla Polizia di Roma Capitale di fornire entro 15 giorni informazioni dettagliate sulle attività commerciali gestite da persone originarie dei paesi del Nord Africa, che, si dice in una circolare del 3 gennaio scorso, occupano spazi pubblici abusivamente, utilizzano manodopera illegale, fanno rumori ecc. ecc. Il controllo è doveroso, ma non ci si può muovere solo contro un'etnia, questo è discriminatorio, e stiamo inviando una lettera al Comune. Ma la discriminazione non necessariamente è nei confronti di cittadini stranieri”. Anche contro gli italiani? “Certamente. Il comune di Ciampino, per esempio, in barba ai principii di ragionevolezza, aveva emanato un regolamento per gli asili nido che dava un punto per ogni anno di residenza a Ciampino per i genitori che fossero nativi di Ciampino. Hai 40 anni, eccoti 40 punti, con i quali sconfiggi anche il requisito del reddito. In questo caso ci siamo mossi su segnalazione di un giovane nato a Roma e trasferitosi con sua moglie a Ciampino, e chiaramente discriminato. Il comune ha dovuto fare marcia indietro”. Altri casi di questo genere? “Quello di Trieste. All'insegna dello slogan Benvenuti triestini il comune aveva varato nel novembre del 2010 un piano da 135 mila euro per concedere un buono spesa fino a 100 euro da utilizzare in farmacia per pannolini e altri prodotti di neonati in famiglie di origine rigorosamente triestina. Ha dovuto ritirarlo. Alle volte si dice: le risorse sono poche, utilizziamole prima per gli italiani. Ma qui si scavalca addirittura questo principio...” Qual è la zona d'Italia che crea più problemi?  “Beh, Brescia non scherza. In tutta la provincia, solo nel 2011, sono state aperte 24 istruttorie. Ma questo è perché ci sono associazioni molto sensibili sul territorio, pronte a segnalarci i casi. Citerei quello di Chiari, che imponeva che i rilevatori del censimento avessero la cittadinanza italiana. L'Istat non aveva chiesto questo: i requisiti erano la laurea e una buona conoscenza della lingua italiana. Chiari ha dovuto fare marcia indietro, e così - bisogna dirlo - i due terzi dei comuni italiani”. Sono molti i comuni e gli enti che vi chiedono un parere? “Si, certo. Agli enti ospedalieri, ad esempio, consigliamo di non fare bandi di assunzione riservati agli italiani, perché sono illegali. E i comuni debbono pensarci bene prima di attuare misure discriminatorie, perché poi dovranno sostenere spese legali e di giudizio, fondi che giocoforza dovranno sottrarre ai servizi sociali”. Vi siete mai schierati contro il governo? “Sì, contro il ministero del Turismo che aveva varato dei buoni vacanze da 200-300 euro riservati alle famiglie italiane disagiate. Il ministero ha dovuto togliere il requisito della cittadinanza”.  Cosa vi serve per essere più efficaci? “Il nostro limite è che non possiamo decidere sanzioni, perché non siamo un'Authority, ma qualcosa di ibrido. Un altro è che in Italia non si può intervenire contro i siti che sono localizzati all'estero. Stormfront, il sito neonazista di cui anche lei ha parlato, lo avevamo scoperto prima che inneggiasse all'assassinio dei senegalesi a Firenze. La soluzione sta in un protocollo opzionale del Consiglio d'Europa che consente questo intervento. L'Italia lo ha sottoscritto, ma adesso deve formalmente ratificato”.   
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